S:1 – Ep.6
Cosma Manera è una persona qualunque.
Figlio del generale di divisione dei reali carabinieri Ferdinando Manera e di Delfina Ruggero, a undici anni entrò nel Collegio Militare di Milano e in seguito fu ammesso all’Accademia di Modena.
Negli studi è molto brillante, in particolare, ha una naturale propensione per l’apprendimento delle lingue: francese, inglese, tedesco, greco, turco, bulgaro, serbo e russo.
A 18 anni fu trasferito a Catania e grazie a queste abilità linguistiche, nel 1899, venne inviato a Creta per seguire da vicino la situazione successiva alla guerra greco-turca.
Probabilmente il suo nome suonerà sconosciuto ai più, ma la storia che andiamo a narrare oggi che vede protagonista il valoroso ufficiale astigiano è un esempio di valore e coraggio come pochi ne abbiamo narrate.
Racconterò quella di un ufficiale dei carabinieri soprannominato il “padre degli irridenti” che ha ricevuto i solenni funerali di stato quando morì, nel 1958, a 81 anni.
Decine di migliaia di italiani in uniforme austriaca partirono per combattere in nome dell’Imperatore d’Austria.
L’Italia, intanto, durante la guerra diventò nemica dell’Austria Ungheria, e quando la guerra finì nel 1918 e l’Impero Austro ungarico si sciolse, Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia, Istria e Zara furono annesse all’Italia.
Per quei soldati rimasti in Russia improvvisamente non esisteva più un governo che li reclamasse e loro stessi non sapevano più chi fossero o per chi avessero combattuto.
Erano uomini letteralmente perduti, dentro e fuori, alcuni relegati in campi di prigionia, altri mendicanti per le strade, nel freddo, fra miseria, sommosse rivoluzionari ed epidemie, in un mondo troppo vasto per pensare di riuscire a ritornare dalle proprie famiglie.
In Italia li chiamano “irredenti”, perché potrebbero redimersi arruolandosi nell’esercito italiano e guadagnarsi la cittadinanza italiana, eppure per le ragioni dette prima non lo fanno.
Per recuperarli il governo manda in Russia tre ufficiali dei Carabinieri: il maggiore Giovanni Squillero, il capitano Nemore Moda e il capitano Marco Cosma Manera.
Doti organizzative, capacità linguistiche ed esperienza di azione in condizioni proibitive: Cosma era quindi l’uomo ideale per tentare il recupero degli irredenti e doveva radunarli e riportarli in Italia.
Era una missione che anche al giorno d’oggi farebbe tremare i polsi a chiunque, vista la enorme vastità del campo in cui ci si doveva muovere Cent’anni fa.
Verso il termine della Grande guerra, quel compito doveva sembrare quasi disperato.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Manera tornò in Italia per organizzare nel Cadore la sorveglianza militare delle linee ferroviarie nelle retrovie del fronte italiano e nel 1916 venne inviato in Russia, per partecipare alla missione atta alla ricerca e il rimpatrio di circa 20 000 soldati austro-ungarici di etnia italiana, prigionieri di guerra o dispersi in Russia, tra la Siberia e il Turkestan.
Giunto a Pietroburgo via mare, Manera proseguì verso il Mar Bianco, dove trovò 4 000 prigionieri trentini, friulani, giuliani e istriani lungo la costa della baia della Dvina ad Arcangelo: nel marzo 1917 noleggiò dall’esercito inglese un piroscafo austroungarico confiscato su cui imbarcò per il rimpatrio i primi 1 700 militari italiani.
Dopo essere stato a Mosca, nel luglio 1917 Manera riuscì a trovare 57 ufficiali e 2 600 uomini nel campo di concentramento di Kirsanov.
A seguito della rivoluzione d’ottobre, la situazione degli stranieri in Russia si fece pericolosa cosicché gli uomini di Manera furono costretti a scappare verso la Siberia.
Gli uomini lasciarono Kirsanov alla spicciolata, in piccoli gruppi, con treni che partivano per la Siberia: Manera partì con l’ultimo gruppo.
Trovato un accordo con il capostazione di Čeljabinsk, Manera riuscì a far agganciare a ogni treno in transito un carro merci con 50 soldati italiani a bordo.
Nel dicembre del 1917 giunsero così a Krasnojarsk circa 4 000 soldati italiani, che vennero in seguito riaddestrati militarmente e riorganizzati in quattro compagnie composte ognuna di tre plotoni.
Manera tentò invano di organizzare un rimpatrio via mare, senza esito, riuscendo però a farsi mettere a disposizione alcuni treni per raggiungere la concessione italiana di Tientsin in Cina.
Sistemati gli uomini in diverse località della Manciuria a Pechino, nel febbraio 1918, Manera si mise in contatto con il movimento russo di controrivoluzione e il mese successivo organizzò la cosiddetta Legione Redenta di Siberia, pronta a intervenire in Russia o in Siberia in caso di attacco alleato.
I soldati vennero allora provvisoriamente fermati in alcune località della Manciuria, per essere poi concentrati in parte nella Concessione e in parte a Pechino.
Nel febbraio del 1918 Manera era riuscito a ritirarsi in Cina insieme con gli “irredenti”; durante il suo soggiorno in Manciuria aveva avuto la possibilità di venire in contatto con elementi di spicco del movimento russo di controrivoluzione.
Con il suo spirito di osservazione e di analisi, ebbe molto chiara la situazione politica in Estremo Oriente, e così gli venne l’idea di utilizzare quel contingente di uomini che aveva fortunosamente sottratto allo sfacelo russo e alla dominazione germanica, decidendo di organizzare un “Corpo di Irredenti”, efficienti, disciplinati e in grado di dare un fattivo apporto ad eventuali azioni belliche, prevedibili nella regione, pronti a servire la causa dell’Italia e dei suoi alleati.
Sempre nel mese di marzo Manera fu nominato Addetto Militare dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo, ma con residenza a Pechino: la funzione gli conferiva ampia possibilità di manovra, legittimando la sua presenza in loco e la sua attività di comando di quel Battaglione, ormai conosciuto con il suo stesso nome.
A questo scopo fu ripreso su vasta scala l’addestramento militare del “Corpo di Irredenti” ormai “redenti” e, con l’aiuto di pochi fucili presi in prestito dall’Amministrazione della Concessione italiana, un centinaio dei più volenterosi furono addestrati per compiti particolarmente rischiosi.
A Tien Tsin il Distaccamento dei “redenti” aveva circa 1.500 uomini su cinque Compagnie, delle quali una sola poté essere armata, con prestiti dalle truppe francesi.
Una parte dei “redenti” risiedeva invece a Pechino, agli ordini del capitano di corvetta Varalda, che coadiuvava Manera nel comando.
In seguito alla Pace di Brest-Litowsk del luglio 1918 tra gli Imperi centrali e il Governo rivoluzionario russo, il Consiglio Supremo di Guerra alleato aveva deciso un intervento in Russia per impedire che i tedeschi si appropriassero delle armi e munizioni che, in quantità ingente, erano state abbandonate allo scoppio della rivoluzione bolscevica, sbarcando nella penisola di Kola.
Anche l’Italia partecipò con un contingente alla missione interalleata.
Le truppe alleate raggiunsero anche la Siberia, sia per evitare che la Germania utilizzasse i prigionieri di guerra austriaci e tedeschi dei campi siberiani, sia per aiutare la Legione Cecoslovacca, in ritirata verso Vladivostok.
Il 6 settembre poté consegnare il Battaglione Volontario degli Irredenti al colonnello Gustavo Fassini-Camossi, Comandante del Corpo di Spedizione in Estremo Oriente, che era partito da Napoli due mesi prima.
Consegnato gli uomini in sicurezza, Manera divenne addetto militare dell’ambasciata italiana a Tokyo dove vi si trasferì.
Manera fece varie volte la spola tra il Giappone e Vladivostok: poiché si era avuta notizia che vi erano molti altri militari italiani sperduti o prigionieri in Siberia, fu incaricato di riorganizzare la Missione militare di aiuto.
L’opera di ricerca degli italiani non fu facile, né lo fu ottenerne la liberazione.
Manera li trovò e riuscì ad organizzare militarmente anche questi uomini, che avevano patito la prigionia ed erano piuttosto stanchi della condizione militare.
Furono raccolti 1.700 uomini, divisi in 8 Compagnie e un Reparto di “prigionieri di guerra”, che non avevano ancora deciso se impegnarsi o meno nel contingente, cioè non avevano ancora deciso se giurare fedeltà all’Italia: formarono quella che venne chiamata ufficialmente “Legione dei Redenti”.
Nel febbraio 1920 Manera lasciò Vladivostok a bordo di tre navi mercantili americane e, dopo essersi fermato in Egitto e sul Mar Rosso, giunse finalmente a Trieste dopo due mesi di viaggio.
Dopo altre missioni sul Mar Nero in Francia, Grecia, Inghilterra, Austria, Germania, Spagna, Portogallo, Bulgaria, Cina, Egitto e Russia, il 1º aprile 1927 fu promosso a colonnello e comandante della Legione di Roma, mentre nel 1929 fu trasferito al comando della Legione di Milano.
Per breve tempo indagò sull’incidente al polo nord di Umberto Nobile, ma in seguito le autorità fasciste gli revocarono l’indagine.
Sventato l’attentato al re presso la fiera campionaria di Milano, venne però accusato di non essere riuscito a trovare la bomba anarchica che era scoppiata tra la folla, per cui fu mandato a dirigere la Legione di Livorno e poi quella di Bologna.
Tornato ad una vita più normale e meno pericolosa, decise di costruire una famiglia, e il 30 aprile del 1923 si sposò con Amelia Maria Pozzolo, dalla quale ebbe due figlie.
Alla fine del 1932 fu collocato in ausiliaria a domanda.
L’anno successivo ebbe la promozione a generale di Brigata e nel 1940 fu trasferito nella riserva.
Nello stesso anno conseguì la promozione a generale di Divisione.
Ma data la sua scarsa simpatia al fascismo, in questo periodo, si occupò maggiormente della famiglia e dei bisognosi, oltre a scrivere articoli per giornali e riviste.
Era un operativo, ma anche un buon diplomatico: comunque una persona di forte spessore umano e professionale, qualità alle quali si aggiungeva, secondo gli scritti d’epoca, una serena modestia.
Morì nella sua residenza di Rivalta di Torino a 81 anni, ricevendo i solenni funerali di Stato.
Ma questa, è un’altra storia.
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