S:1 – Ep.11
Violet Gibson è una persona qualunque.
Violet Gibson è figlia di Edward, avvocato e politico irlandese nominato barone di Ashbourne nel 1885 e Lord Cancelliere d’Irlanda, e della cristiana scientista Frances Colles, sperimentò la teosofia prima di diventare cattolica nel 1902.
Fu presentata come debuttante a corte durante il regno della regina Vittoria.
Rifiutando gli ideali, la religione e lo stile di vita britannici, diventò pacifista, venendo schedata da Scotland Yard.
Violet Albina Gibson soffrì di gravi problemi di salute per tutta la sua vita.
Ebbe un esaurimento nervoso nel 1922, venendo dichiarata “pazza” e internata in un istituto mentale per due anni.
Quando uscì dal manicomio tentò il suicidio all’inizio del 1925.
Nello stesso anno si trasferì a Roma.
Mercoledì 7 aprile 1926 Mussolini era appena uscito dal palazzo del Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di chirurgia, quando la Gibson gli sparò un colpo di pistola, ferendolo di striscio al naso, solamente dopo 5 mesi il primo attentato fallito di Tito Zaniboni.
Secondo Arrigo Petacco e altri studiosi, a salvarlo sarebbe stato un saluto romano che porgeva proprio nel momento dello sparo: tirando indietro il capo e irrigidendosi come sua abitudine nel saluto, avrebbe inconsapevolmente portato la testa fuori dalla traiettoria.
La Gibson, faticosamente sottratta a un tentativo di linciaggio, fu condotta in questura; interrogata, non rivelò la ragione dell’attentato.
Si è supposto che la donna, allora cinquantenne, fosse mentalmente squilibrata all’epoca dei fatti e per questo, che potesse essere stata indotta a commettere il gesto da qualche istigatore sconosciuto.
A tal fine il giovane funzionario di polizia Guido Leto fu inviato a Dublino per raccogliere informazioni in maniera discreta.
Guido Leto era il funzionario che si era già interessato al primo attentato a Mussolini, era laureato in Giurisprudenza ed entrò nel servizio pubblico nel 1919.
A partire dal 1926 iniziò a lavorare con il capo della polizia Francesco Crispo Moncada.
Subito dopo l’attentato di Violet Gibson gli fu affidato l’incarico di raccogliere informazioni proprio a Dublino al fine di escludere che dietro all’evento vi fossero dei mandanti internazionali.
In fin dei conti, i soldi per il primo attentato provenivano dal capo del governo cecoslovacco Tomáš Masaryk e l’intrigo internazionale poteva prendere piede.
Nella capitale irlandese, Leto conobbe la governante della Gibson, la signorina Mc Grath, la quale rivelò come pure in passato la donna fosse stata soggetta a brusche crisi nervose e come qualche anno prima aveva improvvisamente aggredito un’amica con un temperino custodito nella borsetta.
La Mc Grath in seguito venne a Roma per testimoniare sullo stato di salute della Gibson, ma qualche mese prima Leto, rientrato in Italia, anticipò ciò che avrebbe detto lei riferendo del proprio convincimento che la Gibson fosse effettivamente una squilibrata ed avesse agito di propria iniziativa, e come dargli torto, aveva aggredito un’amica con un temperino, era stata internata due anni in un manicomio e aveva tentato il suicidio poco prima di giungere a Roma per sparare al Duce.
Nonostante questo, le indagini non escludevano nessuna pista e, poco dopo, furono sollevati pesanti sospetti all’indirizzo di Antonio Cesarò.
Don Giovanni Antonio Francesco Giorgio Landolfo Colonna Romano, duca di Cesarò e di Santa Maria dei Maniace e Reitano, marchese di Fiumedinisi, conte di Sant’Alessio, barone di San Calogero, di Giancascio e Realturco, signore di Joppolo, nacque a Roma il 22 gennaio 1878 ed era, neanche a dirlo, un nobile, ma entrò nel mirino delle indagini ugualmente.
Figlio del duca siciliano don Calogero Cesarò (che era stato deputato della sinistra storica) e della baronessa Emmelina de Renzis (sorella di Sidney Sonnino, ex presidente del consiglio italiano nel dopo guerra), sposò la nobildonna di origini russe Barbara dei Conti Antonelli, dalla quale ebbe due figlie.
Come questo nobile fu sospettato di tirare i fili della debole Gibson è presto detto, vari indizi pesavano su di lui: alcuni testimoni dell’attentato riferirono della presenza di un uomo, dall’aspetto corrispondente a quello del duca, che avrebbe parlato con la Gibson poco prima del fatto; nell’ultimo interrogatorio del 16 giugno 1926 la donna fece il nome del duca, dicendo che effettivamente aveva parlato con lei e le aveva consegnato la pistola.
La Gibson inoltre, aveva abitato nella stessa strada dove aveva sede il gruppo romano della Società Teosofica Indipendente, nel cui edificio abitò anche lo stesso Cesarò; nel 1927 una perquisizione in casa del duca portò alla scoperta di documenti che testimoniavano l’esistenza di un complotto di tendenza monarchica per rovesciare il regime, monarchia invocata anche da Zaniboni nella sua spontanea dichiarazione che lo condannò.
Infine, in un colloquio col principe Pietro Ercolani di Bologna, Cesarò aveva sostenuto che l’unico mezzo rimasto per ristabilire la democrazia in Italia era l’assassinio di Mussolini, da attuare non per mezzo di un attentato in un luogo pubblico, ma da qualcuno che avrebbe avuto la possibilità di avvicinarlo facilmente.
La Gibson in seguito ritrattò la confessione, genuina o estorta che fosse; Cesarò sostenne di aver conosciuto la donna a Monaco nel 1912 in occasione degli incontri della Società Teosofica ma di non averla più rivista in seguito e naturalmente negò di averle parlato poco prima dell’attentato, ma soprattutto, di averle consegnato la pistola.
Lo scrittore Claudio Mauri, nel libro “La Catena invisibile”, sulla base di documenti e testimonianze dell’epoca, ha avanzato l’ipotesi che Cesarò abbia fatto parte di una cosiddetta “catena magica”, costituita da cinque persone che, tramite suggestione ipnotica, avrebbero spinto la Gibson a compiere l’attentato.
Cesarò fu vicino al mondo dell’esoterismo di quegli anni.
A firma “Arvo” avrebbe scritto il fascicolo settimo del 1928 di “UR”, Magia delle statuette, due anni dopo l’attentato della Gibson, dove si delinea il potere della suggestione ipnotica e quello inerente alla possibilità di un controllo a distanza della volontà delle persone.
Ma anche dopo la ritrattazione di Violet molti dubbi rimasero, come poteva una squilibrata certificata in un paio di mesi aver studiato le mosse del Primo Ministro, aver appreso della sua presenza quel giorno all’inaugurazione della clinica, aver trovato una pistola e, soprattutto, aver sbagliato di un soffio il Duce, segno che la pistola, la Gibson, la sapesse usare e anche discretamente bene.
Se voglio sparare ad un bersaglio in movimento, di certo, non miro alla testa, ma al bersaglio grosso, cioè al corpo, se miro alla testa vuol dire che l’arma la conosco bene, l’ho già usata parecchie volte e sono cosciente delle mie potenzialità di tiratore.
Il fucile di precisione austriaco che doveva usare il deputato Zaniboni sarebbe stato utilizzato da un veterano di guerra, magari non era l’arma preferita e più utilizzata quando era nell’esercito ma di certo il deputato dei fucili, nella grande guerra, ne aveva già visti e usati, ma la Gibson?
Una nobildonna inglese del 1900, squilibrata, di certo non aveva la stessa confidenza con una pistola che un ex veterano poteva avere con un fucile, tanto è vero che, nella sua precedente aggressione, utilizzò un taglierino, arma bianca più istintiva, leggera e pratica che portava nella sua borsetta.
Più probabile che un uomo, altolocato, potesse venire a conoscenza dei movimenti del presidente del consiglio, più facile per lui procurarsi una pistola, più facile che lui, o chi per lui, avesse insegnato alla “pazza” come utilizzarla.
Un altro filo legava i due: la teosofia.
Nell’ambito della Società Teosofica del XIX secolo, la teosofia si configura essenzialmente come scienza esoterica.
Il termine “scienza” ha dunque qui un significato molto sui generis, basato sulla credenza che al di là delle conoscenze scientifiche, la loro intima verità fosse accessibile solo per via chiaroveggente e intuitiva.
I tre principi e scopi su cui si basa la Società Teosofica sono: formare un nucleo di fratellanza universale dell’umanità senza distinzioni di razza, sesso, credo, casta o colore; incoraggiare lo studio comparato delle religioni, filosofie e scienze; investigare le leggi inesplicate della Natura e le capacità latenti dell’uomo.
Ma ai primi del Novecento si ebbe poi una rottura della società teosofica ad opera di Rudolf Steiner, già membro egli stesso della Società, ma uscito da questa in polemica con le sue impostazioni culturali, alle quali contestava di voler limitare il libero arbitrio dell’uomo affidandolo alla tutela dei mahatma; questi ultimi, in connubio con logge massoniche occulte.
Cesarò appartenne inoltre alla Massoneria, fu membro della Gran Loggia d’Italia, dove raggiunse il 33º e ultimo grado del Rito scozzese antico ed accettato, stesso grado massonico raggiunto dal Generale Capello nella loggia Fides di Torino ed entrambi massoni come lo era anche il deputato Tito Zaniboni, Capello e Zaniboni autori, a quanto pare, dell’organizzazione del primo attentato a Mussolini 5 mesi prima, il 4 novembre 1925.
I due attentati non parevano correlati, il primo organizzato da un deputato socialista ex militare e un ex generale dell’esercito, pianificato o quasi, che avrebbe visto personale esperto maneggiare armi di precisione poco condivideva con il secondo, quasi improvvisato, perpetrato ad opera di una squilibrata inesperta d’armi forse manovrata da un nobile che poco centrava con esercito e politica, se non per parentele acquisite.
Un solo punto pareva unirli: la massoneria.
Le indagini seguirono il loro decorso ed anche la giustizia, l’attentatrice Violet Gibson venne assolta in istruttoria dal Tribunale speciale per totale infermità di mente e, successivamente, espulsa dall’Italia verso l’Inghilterra.
Rimase per trent’anni ricoverata in una clinica psichiatrica, il St Andrew’ s Hospital a Northampton, dove morì.
Le indagini su Cesarò non trovarono riscontri su eventuali frequentazioni tra la Gibson e il gruppo teosofico; inoltre la sorveglianza a cui il nobile era sottoposto fin dal 1925 e fattasi più intensa dal giugno 1926, non portò all’individuazione di movimenti o persone sospette.
Questo ulteriore atto terroristico scatenò un’ondata di sostegno popolare per Mussolini, che portò all’approvazione di leggi pro-fasciste e fornì il pretesto per liquidare definitivamente le opposizioni, consolidando ulteriormente il suo controllo sull’Italia.
Ma questa, è un’altra storia.
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