Remo Pontecorvo – Il caimano del Piave

S:1 – Ep.17

Remo Pontecorvo è una persona qualunque.

Pontecorvo era un ragazzo romano, vigoroso ed agile che fin da bambino dimostrò “attitudine” verso l’acqua del suo Tevere, sia attraverso il nuoto, che attraverso il canottaggio.

Arruolatosi nell’esercito inizialmente come Bersagliere in Libia nel 1911, divenne poi Capitano nella Prima Divisione d’Assalto, nata pochissimi giorni prima della Battaglia del Solstizio, di un nucleo di Arditi nuotatori.

Tra l’altro, al fronte, perse l’amato fratello Decio.

Riconosciuta dopo questa Battaglia la necessità di un corpo speciale di nuotatori, per quattro mesi continui Remo Pontecorvo, assunto l’incarico dal generale Ottavio Zoppi, giorno e notte, sotto piogge battenti e con temperature rigide, non si dette riposo finché non fu pronto un manipolo di “Caimani”.

Vi parteciparono elementi provenienti dalle Fiamme Nere e dalle Fiamme Rosse, quali il Sotto Tenente Bizzarri, il Tenente Minasi, il Tenente De Carolis, il Tenente Bettagna, il Tenente Borghi ed il Tenente Frabasile, non mancò nemmeno il famosissimo Ettore Muti, ribattezzato in seguito da D’Annunzio, Gim dagli occhi verdi.

Dei 400 e più volontari offertisi da tutti i reparti della Prima Divisione d’Assalto, solo 82 riuscirono a superare le prove di abilità e di allenamento nelle acque dei fiumi veneti Bacchiglione, Brenta e Sile diventando così “i caimani del Piave”.

Successivamente di questi 82 “incursori” ben 50 perirono in missioni militari.

Ma chi erano i “caimani del Piave”?

I Caimani del Piave, o Caimani Neri del Piave, furono un reparto di fanteria di marina, composto da nuotatori addestrati per attraversare i fiumi a nuoto allo scopo di condurre ricognizioni, azioni di sabotaggio o portare ordini, impiegato da parte italiana durante la prima guerra mondiale sul fronte del Piave.

Essi erano uno speciale reparto di volontari composto originariamente dai migliori elementi della Brigata “Marina” poi ribattezzata San Marco della Regia Marina, posti al comando dell’allora capitano di corvetta Vittorio Tur comandante del Battaglione “Caorle”.

L’armamento principale era costituito da un pugnale, la divisa era costituita da semplici calzoncini da bagno.

Conducendo azioni per lo più notturne, inoltre, erano soliti ricoprirsi con una mistura di grasso per proteggersi dal freddo, e nerofumo per mimetizzarsi nel buio, inoltre indossavano, quando non si immergevano, un’uniforme completamente nera dalla testa ai piedi, probabilmente derivata dall’ uniforme da fatica della Marina, per favorire le azioni notturne oltre le linee nemiche, da qui il nome “I caimani NERI del Piave”.

Negli anni di inizio secolo per la formazione al combattimento corpo a corpo i marinai della Regia Marina, già destinati in Estremo Oriente, erano divenuti qualificati esperti di jujutsu e judo e, alcuni di questi esperti secondo quanto il Comandante Tur raccontava agli allievi delle Scuole di Pola nel 1928, erano stati utilizzati in qualità di istruttori dello speciale nucleo di arditi.

Così i “Caimani” con piccole zattere parzialmente sommerse, usate principalmente per trasportare bombe a mano e materiali e fatte avanzare con il solo movimento dei piedi, raggiungevano la riva opposta del fiume per esplorarne i luoghi nella tenebra più completa, cercando di individuare le postazioni nemiche.

Quando un obiettivo adatto veniva individuato, si provvedeva a neutralizzarne tutte le sentinelle, silenziosamente, con le armi bianche.

L’avamposto, colto di sorpresa, con azione decisa e rapidissima veniva assaltato e distrutto a colpi di petardo.

Diventato il loro capitano, Remo Pontecorvo aveva escogitato un bizzarro modo di nuotare sotto i ciuffi di fogliame, alla maniera dei selvaggi, per non farsi scorgere dal nemico; scendere in acqua strisciando prima nel terreno, come gli alligatori per evitare spruzzi, tonfi e rumori, attraversare il fiume con il favore delle tenebre utilizzando una tecnica di nuoto ad imitazione di quella degli alligatori, ovvero esponendo dall’acqua solamente la testa appena sopra alle narici, quanto bastava per respirare.

Aveva anche inventato bracciali pneumatici adatti a portare biglietti e ordini al sicuro dall’umidità e aveva curato i più minimi particolari, cercando di prevenire ogni necessità e ogni pericolo.

I nuotatori d’assalto erano divenuti in breve tempo preziosi elementi d’azione, addestrati ad attraversare il fiume, nuotando silenziosamente, a gettarsi sui posti avanzati e sulle pattuglie in ricognizione, lavorare silenziosamente di pugnale e ripassare il fiume riportando prigionieri, materiali ed informazioni.

Durante la Battaglia di Vittorio Veneto, il Comando della Divisione d’Assalto situato sulla sponda destra e precisamente sul Montello, si trovò nell’impossibilità di comunicare coi propri reparti che combattevano sull’altra sponda, perché il fortissimo tiro di sbarramento nemico aveva fatto saltare ponti e passerelle.

In più la velocità della corrente dell’acqua era di circa quattro metri al secondo, velocità che avrebbe scoraggiato ogni possibilità di passaggio con imbarcazioni.

Pontecorvo, richiesto dal Colonnello Campi, ad una sua precisa richiesta di tentativo di passaggio del Piave rispose “Presente”!

Il Capitano Remo chiamò a raccolta i suoi Arditi e così cominciò il discorso: “Ho bisogno per ora di quattro uomini soli, ma che siano uomini votati alla morte.

Mettetevi d’accordo fra voi; darò precedenza a chi non ha famiglia.

Chi vuole seguirmi faccia un passo avanti!”

Indistintamente tutti avanzarono, pregando il Capitano di esser scelti.

Pontecorvo tra i suoi Arditi scelse il Sergente Perini, il Caporal maggiore Broggi, il Caporal maggiore Foce e il Caporale Emanuelli.

Il 27 ottobre 1918, pronti i cinque Arditi, una volta sul posto, si chinarono a baciare l’acqua del fiume sacro raccolta tra le mani, in una sorta di rito religioso.

Il nucleo sotto un fitto bombardamento poté toccare la sponda opposta e giungere alla Piana della Sernaglia, dove Pontecorvo in persona recò ordini, consegnò piccioni viaggiatori e ricevette dai Generali De Gasperi, Paolini, Gabrielli, dal Maggiore Gatti e da altri comandanti dei Reparti d’Assalto, preziosi ragguagli sull’andamento dell’azione.

A notte fonda i cinque “Caimani del Piave” riattraversarono le acque sempre più tumultuose.

Sulla riva sinistra perirono due Arditi e sulla riva destra altri due.

Pontecorvo rimase solo, sfinito dalla stanchezza, intirizzito dal freddo, lacerato nei piedi e al corpo per aver attraversato boschetti d’acacie e reticolati nemici, non si arrese e tolto un cavallo ad un soldato di cavalleria si precipitò, seminudo nel mese di ottobre, dal Generale Ottavio Zoppi portandogli le notizie ricevute, illustrandogli le fasi di combattimento e chiedendogli un fuoco di sbarramento sulla località di Fontigo.

Nei giorni seguenti il gruppo, ormai meritatosi il mitico appellativo di “Caimani del Piave”, continuò con il pugnale tra i denti, di giorno e di notte, a mettere in atto fulminee azioni di sorpresa, gettando scompiglio fra le file nemiche.

Remo Pontecorvo fu ovviamente uno dei medagliati della prima guerra mondiale, la Medaglia d’Argento al Valore Militare a lui conferita sul campo di battaglia cita: “Pontecorvo Remo, di Roma, Capitano Reparti Nuotatori Prima Divisione d’Assalto. Seppe organizzare un nucleo di nuotatori in modo che, impiegato nel passaggio a nuoto del Piave per trasmissione notizie, rese preziosi servizi. Primo fra gli ufficiali del proprio reparto sotto il tiro nemico che aveva interrotto i ponti sul Piave, lo attraversava a nuoto, impiantando un servizio di trasmissione e recapito ordini e notizie, che fu poi efficacemente continuato dai suoi successori. In particolari circostanze seppe vincere difficoltà che parevano insormontabili, assolvendo mirabilmente il mandato ricevuto“. (Piave, Ottobre 1918).

L’ultimo «Caimano del Piave» che fu tra gli ottantadue valorosi prescelti da Pontecorvo per numerose audaci imprese svolte nell’ultimo anno di guerra sul Piave, è morto il 7 settembre 1968 all’ospedale del Buon Pastore di Roma: si chiamava Filippo Tosi ed era decorato di Medaglia d’Argento al Valore Militare.

Tosi Filippo da Roma, soldato XI Reparto d’Assalto – “Con raro ardimento si offriva volontariamente a prendere parte ad una rischiosa ricognizione durante la quale dava prova di bravura e di sprezzo del pericolo finché cadeva gravemente colpito”.

Medio Piave, 17 Giugno 1918. Grave ferita che non gli impedì di diventare un “Caimano” quattro mesi dopo”.

Ma tra quegli ottantadue caimani ci fu un altro protagonista indiscusso, Giuseppe Voltarel, classe 1892, detto il “Manareta”.

Nativo di Candelù di Maserada ed espertissimo del Piave, dato che lì praticamente ci nacque, dopo Caporetto fu assegnato proprio a Candelù, coi suoi Bersaglieri del Reggimento VIII, della XXIII Divisione.

Lui aveva l’incarico di attraversare il Piave a nuoto, per ricevere dai parenti e conoscenti notizie degli spostamenti delle truppe austriache.

Come guida, portava al di là del Piave anche soldati italiani, per varie missioni militari.

Guidò perfino Emanuele Filiberto, Duca D’Aosta e comandante in capo della III Armata; entrando nella leggenda dei Caimani del Piave.

Questo piccolo grande uomo, che morì nel 1975, riusciva ad attraversare a nuoto il Piave, le linee di reticolato, passare tra le trincee austriache sia andando che tornando senza mai farsi scoprire, come facesse, questo ancora adesso rimane un mistero.

Sono famosi gli episodi di Arditi che varcarono il Piave a nuoto per andare a neutralizzare gli avamposti nemici sulla sponda opposta.

Anch’essi vestiti con le sole mutande rimboccate al ginocchio ma armati di moschetto, tascapane con petardi, giberne e pugnale tra i denti, raggiungevano la sponda avversaria per eliminare le postazioni di mitragliatrice, raccogliere preziose informazioni, osservando la disposizione delle difese nemiche e catturando prigionieri da interrogare.

Il più eclatante e famoso esempio è quello del giorno 12 settembre 1918, sul Basso Piave, dove questi intrepidi Arditi nuotatori ingannarono il nemico occupato a colpire imbarcazioni piene di fantocci, creati appositamente.

Ma questa, è un’altra storia.

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