Luisa Zeni – Una creatura ammirevole

S:1 – Ep.1

Luisa Zeni è una donna qualunque.

Quella di Luisa Zeni è una storia che forse non tutti conoscono, ma che fa parte della nostra memoria storica trentina e di quella di Arco, la città dove nacque nel 1896, al tempo sotto dominio asburgico.

Luisa Zeni proveniva da una famiglia qualunque, il padre faceva il fabbro, la madre morì quando lei era ancora piccola, aveva 3 anni, e dovette imparare fin da subito a contare sulle proprie forze e su quelle dal padre e del nonno garibaldino

Visse nei primi anni del Novecento nel clima di crescente tensione fra italiani e tedeschi all’interno dell’Impero austro-ungarico, Luisa era di sentimenti irredentisti, forse grazie anche al trascorso militare del nonno, e viveva in un Trentino lacerato fra la secolare fedeltà agli Asburgo ed il richiamo nazionalistico dell’Italia,

Nel volume che pubblicherà poi nel 1926, Briciole, ricordi di una donna in guerra, si racconta l’aneddoto di come rispose al suo ispettore scolastico Prospero Marchetti, fratello di Tullio Marchetti, personaggio fondamentale del servizio informazioni italiani.

Quando Prospero le chiese: «Che faresti se l’Italia movesse in guerra contro l’Austria?»
«Andrei sul Brione a gettar giù sassi»
«Ma contro chi?» «Contro i tedeschi, così gli italiani avanzerebbero».

Luisa Zeni era una donna qualunque, di bassa statura, fisico minuto e di certo non era una di quelle donne che attirava l’attenzione su di sé per la sua bellezza, occhi piccoli e scuri, capelli scuri, dentatura leggermente pronunciata.

Luisa passò il confine nel 1914, appena ebbe compiuto i 18 anni, e si unì al gruppo di irredentisti trentini che, poco prima dello scoppiare della prima guerra mondiale, si diressero a Milano per evitare di entrare in guerra con l’esercito austriaco, in fin dei conti volevano essere italiani, non volevano combatterli.

Tale gruppo, condotto da Cesare Battisti, va a formare il Comitato fra irredenti adriatici e trentini con sede in via Silvio Pellico, 14.

Alla vigilia dell’entrata in guerra, il Comando della 1ª Armata, schierata sul fronte trentino, svolge un’azione di reclutamento per trovare dei trentini disposti, una volta passato nuovamente il confine, a compiere un’azione informativa atta a conoscere i movimenti nemici da Ala fino al Brennero.

Luisa, reclutata nel 1915 all’età di 19 anni dall’allora capo del Servizio Ufficio Informazioni, il colonnello Tullio Marchetti, si offre volontaria per compiere tale pericolosa impresa, «unica persona, fra le molte interpellate di ambo i sessi, che accettò senza titubanza il pericoloso incarico».

Il 22 maggio 1915, due giorni prima della dichiarazione ufficiale di guerra da parte dell’Italia, Luisa Zeni da Milano va a Verona, da qua passa il confine entrando in territorio austriaco nella zona di Ossenigo a Peri.

Con sé aveva soltanto dell’inchiostro simpatico, qualche soldo necessario per vivere, alcuni contatti utili, tra cui il barone Silvio a Prato, un agente italiano in Svizzera a cui avrebbe dovuto indirizzare la sua corrispondenza, e dei documenti falsi per convalidare il suo alias, il suo alter ego austriaco: Josephine Müller.

Intercettata e fermata due volte da pattuglie austriache, Luisa ebbe subito la prontezza, quella prontezza che la salverà in altre occasioni, di pronunciare il suo falso nome e raccontare di essere un’austriaca che vuole ricongiungersi alla sua patria.

Si presenta come Josephine Muller, dichiara di essere fuggita dall’Italia per rientrare in Austria e accompagnata ad Ala viene perquisita.

Temeva che venisse scoperto che era una spia: tra le animelle dei bottoni teneva infatti nascosti gli indirizzi e i contatti degli svizzeri ai quali avrebbe dovuto trasmettere le informazioni mentre nella borsetta aveva l’inchiostro simpatico e il reagente.

Tutto andò liscio, i documenti falsi ressero all’esame e venne fatta proseguire rilasciandogli un foglietto per prendere quella sera stessa insieme ad altri evacuati il treno per Innsbruck.

Il 24 maggio, all’età di vent’anni, raggiunse finalmente Innsbruck in treno e scese all’Union Hotel, luogo pericoloso, ma anche miniera di informazioni frequentato com’è dagli ufficiali dei comandi stanziati in città.

Si era insinuata nel nido del nemico ed ora poteva iniziare il suo lavoro.

Conoscendo perfettamente tanto il tedesco che il territorio trentino, nel corso delle settimane seguenti la Zeni svolge a Innsbruck una preziosa opera informativa, con grande cautela ascoltava tutto ciò che poteva esserle utile, raccoglieva informazioni che appuntava su foglietti di carta che nascondeva con cura all’interno dei bottoni degli abiti.

Le sue relazioni precise e dettagliate venivano inviate in Svizzera, al barone a Prato, che notò quanto fosse efficiente quella giovane agente trentina, la persona adatta per quella missione.

A volte Luisa si spingeva fino alla frontiera, in Pusteria; nei suoi giri attraversava ponti, posti di controllo, depositi e caserme, dove si accattivava le simpatie dei soldati portando loro tabacco e cioccolata in regalo.

Dopo qualche tempo, per non farsi scoprire abbandonò l’Hotel andando a stare in una casa privata, e iniziò a frequentare un gruppo di Trentini innamorati dell’Italia, mantenendo sempre il suo segreto.

Ma i sospetti iniziarono a circolare e le pattuglie austriache cominciarono le perquisizioni, irrompendo anche nelle case private.

Una sera piombarono anche nella casa dove si trovavano Luisa e gli amici trentini. Terrorizzati, riuscirono a nascondersi dove capitava, ma qualcuno venne ammanettato e portato via.

Di loro la ragazza non seppe più nulla.

Dato che le perquisizioni diventavano sempre più frequenti, nella sua stanzetta Luisa si era ingegnata per nascondere i suoi “corpi del reato”, le boccette d’inchiostro chimico e il reagente.

Dietro l’armadio, con un trapano e uno scalpello aveva forato il pavimento di legno, ricavando uno spazio dove aveva nascosto le boccette.

Se fossero state trovate sarebbe stata condannata a morte.

Tenendosi informata sulla sorte dei suoi compatrioti, con il cuore in gola, la ragazza andava avanti nel suo gioco pericoloso, fino a che, alla fine di luglio, non venne smascherata dalla polizia nemica e dall’Evidenzbüro, il servizio di intelligence militare austroungarico. Una mattina quattordici uomini armati si presentarono a casa sua per condurla alla Kloster Kaserme.

Conservando il suo sangue freddo e un atteggiamento di sfida Luisa li seguì.

Fu gettata in una stanza, nuda, al buio.

Nonostante temesse per la sua sorte, si sentiva orgogliosa di aver servito la sua patria, che ora invocava in quella cella umida.

Quando la presero per interrogarla sulla sua identità sfoderò la scusa che si era preparata.

Disse di servirsi del nome tedesco per non rischiare di essere maltrattata, come capitava a chi portava un nome che suonava italiano.

Raccontò poi la verità sulla sua famiglia: il padre prestava servizio come soldato in Panarotta, suo fratello in Galizia, mentre lo zio sacerdote era al fronte nel Regio Esercito come cappellano militare; il resto dei parenti confinato in Moravia, ma lei non li avrebbe raggiunti.

Anche questa volta la giovane trentina dallo spirito acuto se la cavò, ma non poteva uscire fuori dai confini della città e l’avrebbero tenuta sotto stretta sorveglianza.

La piccola spia di Arco rimase in Austria per tre mesi, quando dalle perquisizioni si era passati agli arresti di massa: i Verräter, i traditori, gli irredenti, venivano catturati e giustiziati.

Il 7 agosto 1915 infatti i poliziotti tornarono a cercarla.

La padrona di casa avvisò la ragazza che erano passati e sarebbero tornati a prenderla.

Non c’era tempo da perdere, l’avrebbero uccisa.

Luisa doveva fuggire, lasciare Innsbruck e l’Austria.

Era notte.

La giovane donna si travestì da uomo, aiutata dalla stessa padrona di casa che gli tagliò i capelli e gli donò un costume tirolese.

A piedi raggiunse la piccola stazione di Hall, appena fuori città e salì su un treno diretto a Feldkirch, in territorio neutrale, per cambiare successivamente e dirigersi in Svizzera.

La corsa arrivò a destinazione, Luisa doveva ora superare i controlli.

C’erano gendarmi dappertutto.

Tenuta sotto sguardo da due di loro che sorvegliavano i binari, si fece strada tra i rimpatriandi italiani in coda e presentò un inservibile foglio di legittimazione, che le era stato rilasciato al Municipio di Innsbruck, ma venne respinto.

Fingendo che fosse tutto in regola, la ragazza si mosse, foglio alla mano bene in vista, verso la stazione, passando tra i gendarmi che non le chiesero nulla.

Esausta, impaurita e preoccupata attese con ansia il treno per la Svizzera.

Era fatta.

Dichiarandosi al servizio della Prima Armata riuscì a raggirare anche i controlli a Zurigo ed arrivò finalmente in Italia per raggiungere il colonnello alpino Tullio Marchetti che andò ad accoglierla a Milano il 15 agosto per sentire direttamente da lei le ultime notizie.

Il giorno seguente Luisa Zeni cessò di essere alle sue dipendenze.

Successivamente, frequentò nell’inverno di quello stesso 1915, la scuola per infermiere della Croce Rossa Italiana, venendo assegnata a diversi ospedali dove prestò servizio fino alla fine della guerra quando, in ricompensa del servizio reso al Paese le venne concessa la medaglia d’argento al valor militare, caso più unico che raro per una donna.

«… è certo che essa, conscia dei pericoli sui quali andava incontro, diede prova di grande ardimento, arrischiando la vita, soprattutto nella sua qualità di trentina, e ciò per puro amore di patria e non per denaro, avendo essa compiuto fino al limite del possibile il suo servizio con il minimo di spesa e senza guadagno di sorta, né diretto né indiretto…. Il suo agire arditissimo e nobile ebbe ed ha un valore maggiore che se fosse stato compiuto da un uomo, dato che nessun uomo si è sentito di fare quanto la Zeni ha fatto. »

Nel 1918 la guerra terminò ma Luisa non si fermò, nel 1920 partecipò all’impresa di Fiume dove si adopera come crocerossina, ciò che aveva studiato e fatto terminando il suo lavoro da spia.

Questa volta si guadagna l’ammirazione dello stesso Gabriele D’Annunzio che parla di lei come “creatura ammirabile”.

Della Zeni, poi, non si seppe granché, forse perché aderì successivamente al fascismo, si sposò, ebbe una vita qualunque come ci si aspetta da una donna qualunque di quei tempi.

Morì a Roma nel 1940. Altre donne seguiranno il suo esempio negli anni, nella buona e nell’avversa fortuna, soprattutto nella Seconda Guerra Mondiale.

Ma questa è un’altra storia.

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