Ernest Hemingway – Addio alle armi

S:1 – Ep.16

Ernest Hemingway è una persona qualunque.

Mai pensare che la guerra, non importa quanto necessaria, non importa quanto sia giustificata, non sia un crimine.” – Addio alle armi, Ernest Hemingway

Chi ci segue da tempo sa, che quando abbiamo a che fare con nomi e cognomi altisonanti come quello di Ernest Hemingway, e come è successo per Houdinì, non lo menzioneremo per quello che l’ha reso famoso, perché basta nominare “Per chi suona la campana” o “Il vecchio e il mare” per risvegliare un ricordo anche di chi Hemingway non l’ha mai letto, ma lo racconteremo per quello che ha fatto durante la prima guerra mondiale, quando era ancora una persona qualunque.

Sì, perché Ernest Hemingway la grande guerra l’ha fatta, l’ha fatta da volontario e l’ha fatta in Italia e questo episodio della sua vita gli ispirò “Addio alle armi”, pubblicato nel 1929.

Nato a Oak Park il 21 luglio 1899, aveva solamente dieci anni quando gli fu regalato il suo primo fucile da caccia che imparò presto a usare con grande maestria suscitando l’invidia dei compagni, tanto che un giorno, a causa di un bottino di quaglie che stava portando a casa, venne assalito da un gruppetto di ragazzi che lo picchiarono, fu probabilmente questo episodio che gli fece nascere il desiderio di imparare anche la boxe.

Dopo aver frequentato senza grande entusiasmo la scuola elementare, venne iscritto alla “Municipal High School” ed ebbe la fortuna di incontrare due insegnanti che, avendo notato l’attitudine del ragazzo per la letteratura, lo incoraggiarono a scrivere.

Nacquero così i primi racconti e i primi articoli di cronaca.

Nel 1917 ottenne il diploma ma rifiutò sia di iscriversi all’università, come avrebbe desiderato suo padre medico, sia di dedicarsi al violoncello come voleva sua madre ex aspirante cantante d’opera lirica.

Il 6 aprile 1917, gli Stati Uniti d’America entrarono in guerra e Hemingway, lasciato il lavoro da cronista del quotidiano locale, il “Kansas City Star”, si presentò come volontario per andare a combattere in Europa con il Corpo di spedizione statunitense del generale Pershing, come già stavano facendo molti giovani aspiranti scrittori che provenivano dalle università.

Ma nonostante l’ottima mira nell’utilizzo del fucile e la pratica della boxe venne escluso dai reparti combattenti a causa di un difetto alla vista, venne comunque arruolato nei servizi di autoambulanza come autista dell’ARC (American Red Cross) e destinato al fronte italiano nella città di Schio e, dopo due settimane di addestramento e dieci giorni trascorsi a New York, si imbarcò, il 23 maggio 1918, sulla Chicago diretta a Bordeaux, città nella quale sbarcò il 29 maggio.

Due giorni dopo giunse a Parigi ed ebbe modo, girando per la città, di vedere il disastro provocato nei vari quartieri dal cannone tedesco chiamato Parisgeschütz (spesso erroneamente confuso con la Grande Berta).

Il Parisgeschütz era il nome di un pezzo di artiglieria con il quale i tedeschi bombardarono Parigi durante la prima guerra mondiale, dal marzo all’agosto del 1918.

Quando fu usato per la prima volta i parigini credettero di essere bombardati da un dirigibile perché non sentivano rumori di aeroplani o cannoni.

Fu il più grande pezzo di artiglieria mai utilizzato da tutti gli eserciti nel corso del primo conflitto.

Da Parigi Hemingway proseguì poi in treno per Milano, dove rimase per alcuni giorni prestando opera di soccorso.

Nelle campagne circostanti, a Bollate, era infatti saltata in aria una fabbrica di munizioni e molte erano state le vittime tra le operaie, tutte donne perché gli uomini erano totalmente impegnati nel regio esercito.

Il venerdì 7 giugno 1918, alle ore 13,50, lo stabilimento Sutter & Thèvenot fu scosso da una devastante esplosione che provocò, fra le operaie addette alla produzione, oltre una sessantina di vittime.

Non fu mai possibile stabilirne il numero definitivo in quanto la violenza dello scoppio, avvenuto verosimilmente nel reparto spedizione dove vi era la massima concentrazione del materiale esplodente, disperse i resti di molti corpi, e nulla si seppe in seguito della sorte di moltissimi feriti.

Per il giovane Hemingway la vista dei corpi dilaniati dall’esplosione fu un trauma tremendo.

Da questa visione non si liberò mai, tanto da portarlo a scriverne, quattordici anni dopo, nel racconto “Una storia naturale dei morti” che divenne poi parte della raccolta de “I 49 racconti” pubblicati del 1938.

Scrisse al riguardo: “Quanto al sesso dei defunti, è un dato di fatto che ci si abitua talmente all’idea che tutti i morti siano uomini che la vista di una donna morta risulta davvero sconvolgente.

Dopo quella tremenda esperienza fu inviato a Vicenza e assegnato alla Sezione IV della Croce Rossa Internazionale statunitense, presso il lanificio Cazzola a Schio, nella quale tornò anche nel primo dopoguerra.

Nel capolavoro “Addio alle Armi” immagina di trascorrere un periodo a Gorizia da dove descrisse il fronte; ma nella realtà, durante quel periodo, Gorizia era sotto il controllo austriaco e lo scrittore non avrebbe potuto soggiornarci.

Malgrado il 15 giugno si fosse scatenata sul fronte italiano la battaglia del solstizio, alla Sezione IV la situazione era tranquilla e, per alcune settimane, Hemingway alternò il lavoro di soccorso a bagni nel torrente e partite di pallone con gli amici.

Iniziò anche a collaborare ad un giornale intitolato Ciao con articoli scritti sotto forma di epistola e conobbe, recandosi in un paese vicino alla Sezione, John Dos Passos.

Ma il diciottenne scrittore desiderava assistere alla guerra da vicino e così fece domanda per essere trasferito.

Fu mandato sulla riva del Basso Piave, nelle vicinanze di Fossalta di Piave e Monastier di Treviso, come assistente di trincea.

Ernest Hemingway aveva il compito di distribuire generi di conforto ai soldati in trincea, recandosi quotidianamente alle prime linee in bicicletta, ma durante la notte tra l’8 e il 9 luglio rimase ferito dalle schegge di un colpo di una bombarda austriaca mentre consegnava cioccolata ai soldati.

Due dei tre uomini che erano con lui restarono uccisi.

Ripresa coscienza dopo l’esplosione, Hemingway si caricò il terzo, gravemente ferito, sulle spalle, ma mentre stava recandosi al posto di medicazione, fu colpito alla gamba destra dalle schegge che gli penetrarono nel piede e in una rotula.

Si salvò anche perché questi frammenti della bombarda austriaca, che lo ferirono comunque gravemente, gli arrivarono dopo avere colpito in pieno il soldato italiano che stava trasportando e che, facendogli involontariamente da scudo, gli salvò la vita perdendo a sua volta la propria.

Poco dopo, un Hemingway semicosciente fu trasportato all’Ospedale 62, una struttura indipendente gestita dall’allora neutrale Repubblica di San Marino, situata nella frazione di Dosson di Casier, in una splendida dimora.

Il 15 luglio fu finalmente trasportato su un treno ospedale e il 17 venne consegnato all’Ospedale della Croce Rossa Americana a Milano, dove subì diversi interventi per rimuovere chirurgicamente le 227 schegge che gli avevano perforato le gambe.

Lì rimase tre mesi, durante i quali si innamorò di un’infermiera statunitense di origine tedesca, Agnes von Kurowsky che però era legata sentimentalmente al Tenente napoletano Domenico Caracciolo.

Agnes considerava il rapporto con Ernest Hemingway una relazione giovanile e fugace platonica.

Anche questa esperienza ispirò qualche anno dopo, come detto nel 1929, Addio alle armi.

La guerra però continuava. Hemingway, ormai guarito, a fine ottobre, venne trasferito sul fronte del Monte Grappa, dove si ammalò di nuovo, questa volta di epatite; venne rispedito ancora una volta a Milano dove però Agnes non c’era più.

Dimesso nuovamente dall’ospedale milanese, insieme al capitano e pittore americano Gamble, trascorse la sua convalescenza e il Natale del 1918 a Taormina, a Casa Cuseni, la dimora, oggi Museo, del pittore britannico Robert Kitson, dove scrisse “I Mercenari”, il suo primo racconto giovanile.

Decorato con la medaglia d’argento al valor militare italiana, il 6 di gennaio del 1919 fece ritorno a Oak Park, dove venne accolto come un eroe e dove gli fu assegnata la Croce di Guerra, conferitagli dagli Stati Uniti del presidente Thomas Wilson.

Dopo il rientro a casa, Hemingway ricominciò a scrivere, ad andare a pesca e a dare conferenze nelle quali raccontava i giorni drammatici trascorsi sul fronte italiano.

Nel 1922 Hemingway era un collaboratore del Toronto Star, scriveva articoli che in seguito furono raccolti in diverse antologie e, nell’aprile dello stesso anno, il giornale lo mandò a Genova come inviato alla Conferenza Internazionale Economica, terminata con l’accordo concluso a Rapallo.

In giugno tornò in Italia con la moglie, passando a piedi il valico del Gran San Bernardo e trascorrendo una notte all’Ospizio del Colle.

Da Aosta arrivò in treno a Milano come aveva fatto nel 1918 dove aveva conosciuto Agnes e da lì proseguì per Schio e a Fossalta di Piave, dove la sua carriera militare era effettivamente iniziata, dove era stato ferito, dove era stato decorato come un eroe.

Fossalta me la ricordavo ridotta dalle bombe a cumuli di macerie, al punto che neppure i topi ci potevano abitare”.

Così scrisse Ernest Hemingway sul “Daily Star” di Toronto nel luglio del 1922.

Dal 1957 cadde in una profonda depressione e, durante i frequenti ricoveri degli ultimi anni, fu più volte sottoposto ad elettroshock.

La depressione delirante che lo aveva colpito lo portò al suicidio: si sparò con un fucile il 2 luglio 1961.

La vita di ogni uomo finisce nello stesso modo. Sono i particolari del modo in cui è vissuto e in cui è morto che differenziano un uomo da un altro.” E.H.

Ma questa, è un’altra storia.

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