S:1 – Ep.27
Luigi Rizzo è una persona qualunque.
Luigi Rizzo nacque a Milazzo l’8 ottobre 1887 in una famiglia di comandanti di mercantili.
Capitano di lungo corso nella Marina mercantile, il 17 marzo 1912 fu nominato sottotenente di vascello di complemento della riserva navale.
Nel primo conflitto mondiale, dal giugno 1915 alla fine del 1916 venne destinato alla difesa marittima di Grado, dove, agli ordini del capitano di fregata Alfredo Dentice di Frasso, si distinse particolarmente ottenendo anche una medaglia d’argento al valor militare.
Successivamente fu trasferito nella neonata squadriglia dei MAS, prendendo parte a varie missioni di guerra.
Come già detto in precedenza, il Motoscafo armato silurante o Motoscafo antisommergibili, più conosciuto con la sigla MAS, era una piccola imbarcazione militare usata come mezzo d’assalto veloce e antisommergibile dalla Regia Marina durante la prima e la seconda guerra mondiale.
Fondamentalmente si trattava di un motoscafo da 12 a 30 tonnellate di dislocamento che arrivava ad un massimo di una decina di uomini di equipaggio, l’armamento era costituito da due siluri e alcune bombe di profondità antisommergibile, oltre a una mitragliatrice o a un cannoncino.
Nel maggio del 1917, proprio sui MAS, catturò due piloti di un idrovolante austriaco ammarato per avaria; per tale azione ottenne la seconda medaglia d’argento al valor militare.
Nel dicembre del 1917 affondò la corazzata guardacoste austriaca Wien, avvenuto nella rada di Trieste.
Per questa azione Rizzo venne decorato con la medaglia d’oro al valore militare e nello stesso mese, per le missioni compiute nella difesa delle foci del Piave, venne decorato con una terza medaglia d’argento al valor militare e promosso tenente di vascello per meriti di guerra, ottenendo il passaggio in s.p.e. (servizio permanente effettivo).
Nel giugno del 1918, come abbiamo già raccontato nell’episodio precedente del nostro podcast, al largo di Premuda, attaccò e affondò la corazzata Szent István e venne insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia; ma rifiutata per motivi politici, fu commutata in medaglia d’oro al valor militare per ciò che ricordiamo come l’impresa di Premuda.
Ma prima di questo evento, il nostro capitano Rizzo realizzò un’altra impresa che i nostri libri di storia ricordano ancora oggi come: La beffa di Buccari.
Il 9 gennaio 1918 l’ammiraglio Luigi Cito emanò direttive che il giorno seguente, l’ammiraglio Casanova, comandante della Divisione Navale di Venezia, diramò con ordini dettagliati per l’esecuzione dell’operazione contro la baia di Buccari.
Le condizioni meteorologiche però non consentirono l’effettuazione dell’uscita e questa venne rinviata fino al 4 febbraio, quando una ricognizione di un idrovolante su Pola, Fiume e Buccari segnalò la presenza di quattro unità nemiche nella rada di Buccari; così il 7 febbraio, si decise per un’azione nella baia.
Le unità designate furono il MAS 94 del sottotenente di vascello Andrea Ferrarini, il MAS 95 del tenente di vascello Odoardo Profeta De Santis e il MAS 96, del capitano di corvetta Luigi Rizzo con, a bordo, il comandante di missione capitano di fregata Costanzo Ciano e il Vate nazionale, Gabriele D’Annunzio.
Gli ordini prevedevano la costituzione di tre gruppi navali di cacciatorpediniere ed esploratori a traino e sostegno dei tre MAS che avrebbero assolto a determinate disposizioni:
Il 1º gruppo composto dall’esploratore Aquila e dai cacciatorpediniere Acerbi, Sirtori, Stocco, Ardente e Ardito dovevano ancorarsi a Porto Levante e tenersi pronte ad intervenire su ordine del comando in capo di Venezia.
Il 2º gruppo del capitano di fregata Arturo Ciano e composto dai caccia Animoso, Audace e Abba, dovevano rimorchiare i MAS fino a 20 miglia a ponente dell’isola di Sansego e qui avrebbe ceduto a rimorchio i MAS alle torpediniere e si sarebbero riposizionate a una distanza di 50 miglia da Ancona per fornire assistenza agli stessi nella fase di rientro.
In fine, il 3º gruppo, composto dalle torpediniere 18 P.N., 13 P.N. e 12 P.N. avrebbero rimorchiato i MAS fino alla congiungente Punta Kabile di Cherso – Punta Sant’Andrea, mentre il sommergibile F5 sarebbe rimasto in agguato in un’area di 15 miglia a ponente di Pola e il sommergibile F3 15 miglia a sud di Capo Promontore.
Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22:00 circa del 10 febbraio, i tre MAS iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l’isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili che militari.
Alle ore 22:15, giunti in prossimità del punto previsto, i MAS lasciarono i rimorchi e le siluranti diressero per il rientro.
I tre motoscafi iniziarono quindi l’attraversamento del canale di Faresina, senza che la batteria di Porto Re li scorgesse, e giunti ad un miglio dalla costa, spensero i motori a scoppio per azionare quelli elettrici.
Alle 0:35 i MAS giunsero all’imboccatura della baia di Buccari senza incontrare ostruzioni e individuarono gli obiettivi, tre piroscafi da carico e uno passeggeri.
I bersagli vennero quindi suddivisi tra i tre MAS: il MAS 96 il piroscafo 1, il MAS 94 sarebbe stato l’unico a dover colpire due piroscafi, 2 e 3, e il MAS 95 il piroscafo 4.
Alle 01:20 i MAS lanciarono i loro siluri; il MAS 95 lanciò un siluro nella zona dello scafo e un siluro al centro del piroscafo 4; il MAS 94 un siluro al centro del piroscafo 2 e al centro del piroscafo 3 mentre il MAS 96 lanciò due siluri nella zona dello scafo del piroscafo 1.
Dei sei siluri lanciati solo l’ultimo esplose, a dimostrazione che le unità erano protette da reti antisiluranti e che lo scoppio del secondo siluro del MAS 96 indicava la probabile rottura della rete col primo siluro che consentì la penetrazione del secondo.
Allo scoppio l’allarme fu immediato e le unità italiane riuscirono a riguadagnare il largo tra l’incredulità dei posti di vedetta austriaci, che non immaginavano possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, mentre i MAS, giunti al punto di riunione prestabilito, rientrarono ad Ancona completamente illesi alle 7:45.
Tre bottiglie suggellate dai colori nazionali furono lasciate su galleggianti nella parte più interna della baia di Buccari con, all’interno, un messaggio scritto da D’Annunzio, fatto che dette all’azione l’appellativo di “beffa di Buccari”.
«In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia»
Dal punto di vista tattico-operativo l’azione fu del tutto irrilevante: le navi austroungariche, protette efficacemente dalle reti anti-siluro non riportarono alcun danno materiale, anche se emerse una mancanza di coordinamento nel sistema di vigilanza che rese possibile l’azione dei marinai italiani e al contempo si capì che l’utilizzo di piccole imbarcazioni nell’oscurità avrebbe consentito in futuro di compiere altre azioni simili senza impiegare le grandi navi di superficie.
L’impresa di Buccari ebbe una grande risonanza in Italia, in una fase della guerra in cui gli aspetti psicologici stavano acquistando molta importanza.
D’Annunzio ebbe un ruolo fondamentale nel propagandare l’impresa e il suo messaggio lasciato nelle tre bottiglie ebbe grande diffusione e contribuì a risollevare il morale dell’esercito impegnato sul Piave.
Dopo questa impresa, e la fine della guerra, Luigi Rizzo divenne Volontario fiumano nel 1919, posto proprio da D’Annunzio alla guida della Flotta del Quarnaro e prestando la sua attività in favore del rifornimento di viveri alla città fino agli inizi del 1920.
Quell’anno lasciò il servizio attivo con il grado di capitano di fregata.
Nel dopoguerra assunse la presidenza della Società di Navigazione Eolia di Messina, poi fondò a Genova la Calatimbar, società tra armatori, esportatori e spedizionieri, che aveva lo scopo di imbarcare tutte le merci in partenza da quel porto.
Nel 1936, volontario, partecipò alla guerra d’Etiopia; il 18 giugno 1936 fu nominato ammiraglio di divisione della Riserva Navale per meriti eccezionali e nel 1939 fu Consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni ma poi, scoppiò la seconda guerra mondiale.
Il 10 giugno 1940, allo scoppio delle ostilità, chiese di rientrare in servizio e si occupò della lotta antisommergibile nel Canale di Sicilia; fu dispensato dal servizio nel gennaio dell’anno successivo assumendo la carica di presidente del Lloyd Triestino.
Il 20 febbraio 1942 fu nominato presidente dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico.
Dopo l’8 settembre 1943, con il proclama di armistizio di Badoglio e l’annuncio dell’entrata in vigore dell’armistizio firmato il giorno 3 dal governo Badoglio I del Regno d’Italia con gli Alleati della seconda guerra mondiale e trasmesso al popolo italiano con un messaggio letto dallo stesso maresciallo Pietro Badoglio, ordinò il sabotaggio dei transatlantici e dei piroscafi affinché non cadessero in mano tedesca.
Per questa sua direttiva venne trasferito dalla Gestapo in Austria, prima nel carcere di Klagenfurt e successivamente nel soggiorno obbligato a Hirschegg.
Rimpatriato al termine del conflitto, morì a Roma il 27 giugno 1951, due mesi dopo un’operazione per un tumore al polmone.
L’operazione fu effettuata dal professor Raffaele Paolucci, suo grande amico, quello che durante la Grande Guerra era stato il protagonista con il maggiore del genio navale Raffaele Rossetti dell’affondamento nel porto di Pola della corazzata austriaca Viribus Unitis, che abbiamo raccontato nell’episodio 2 del nostro podcast.
Ma questa, è un’altra storia.
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