Dopo il disastro di Caporetto, il 30 ottobre 1917 fu chiamato a sostituire il debole Boselli.
Oltre alla Presidenza del Consiglio dei ministri, era all’apice della sua carriera politica alla guida del Paese, egli mantenne anche il dicastero degli Interni nella drammatica situazione di guerra.
Una delle sue prime iniziative fu di telegrafare al generale Cadorna, per riconfermargli la sua fiducia e la sua stima; in
realtà aveva già deciso la sua sostituzione a capo delle forze armate con il generale Diaz.
Interventista allo scoppio della Prima guerra mondiale, nel 1916 Boselli fu nominato presidente del Consiglio dei ministri dal re Vittorio Emanuele III, rimanendo in carica dal 18 giugno 1916 al 30 ottobre 1917; il suo fu un esecutivo di coalizione nazionale, dal quale però rimasero esclusi i socialisti; il primo ministro italiano fu contrario all’intromissione parlamentare nella conduzione della guerra e diede sempre fiducia al severissimo Luigi Cadorna.
Ciò determinò la caduta del governo, perché, dopo la battaglia di Caporetto, Boselli dovette presentare le dimissioni.
E’ stato il principale asso dell’aviazione italiana durante la prima guerra mondiale nel corso della quale gli vennero attribuiti 34 abbattimenti di aerei nemici, il numero più alto mai raggiunto da un aviatore dell’Aeronautica italiana.
Fu insignito della medaglia d’oro al valor militare.
Rientrato in Italia nel luglio del 1915 all’8ª Squadriglia da ricognizione e combattimento su Nieuport-Macchi Ni.10, cominciò i voli di pattugliamento il 25 agosto con la 2ª Squadriglia da ricognizione e combattimento. Dopo ripetuti infruttuosi combattimenti, gli venne assegnato un Nieuport 11 “Bébé” con il quale – in forza dal 1º dicembre alla 1ª Squadriglia caccia che diventa il 15 aprile 1916 70ª Squadriglia caccia – entrò ripetutamente in azione nella seconda metà del 1915.
Promosso capitano nel giugno 1916, rimase sempre nella stessa squadriglia, anche quando questa divenne la 70ª.
Il 1º maggio successivo si trasferì alla 91ª Squadriglia, soprannominata “La squadriglia degli assi” perché costituita da grandi assi dell’aviazione scelti da Baracca in persona, quali Pier Ruggero Piccio, Fulco Ruffo di Calabria, Gaetano Aliperta, Bartolomeo Costantini, Guido Keller, Giovanni Sabelli, Enrico Perreri e Ferruccio Ranza.
Sul suo aereo in onore alla sua Arma di appartenenza Baracca dipinse il cavallino nero rampante destinato a diventare una delle insegne più cara agli italiani (anni dopo la madre di Baracca consegnò quel simbolo a Enzo Ferrari e gli disse: “Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna”).
Nel settembre 1917, con diciannove vittorie al suo attivo, era l’asso italiano con il maggior numero di abbattimenti, il 6 di quel mese venne promosso maggiore.
La 91ª Squadriglia venne riequipaggiata con lo SPAD S.XIII e pilotando questo nuovo aereo, Baracca portò il totale delle sue vittorie a trenta, ma subito dopo venne messo a riposo.
Il 19 giugno, dopo aver compiuto una missione, il trentenne Baracca rientrò al campo di Quinto di Treviso; lo SPAD S.XIII con cui aveva compiuto i primi voli della giornata aveva il rivestimento in tela delle ali e della fusoliera danneggiato, perciò egli decollò con il suo aereo di riserva, uno SPAD S.VII, per la quarta missione del giorno.
Altri due aerei della 91ª Squadriglia sarebbero decollati con lui, il giovane Osnago e il più esperto Costantini.
Al momento della partenza tuttavia si scoprirà che Costantini era già partito, lasciando a Baracca la sola scorta dell’inesperto Osnago.
Mentre i piloti erano impegnati in un’azione di mitragliamento a volo radente sopra Colle Val dell’Acqua, sul Montello, l’asso italiano venne abbattuto.
Verrà ritrovato qualche giorno dopo, il 23 giugno, dal capitano Osnago, compagno dell’ultimo volo, che su segnalazione dell’ufficiale Ambrogio Gobbi raggiunse le pendici del Montello (località “Busa delle Rane”) con il tenente Ranza ed il giornalista Garinei del Secolo di Milano.
Per quei pochi che non si ricordassero chi fosse stato, fu uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale, dal 1924 insignito dal Re Vittorio Emanuele III del titolo di Principe di Montenevoso.
Soprannominato il Vate (allo stesso modo di Giosuè Carducci), cioè “poeta sacro, profeta”, cantore dell’Italia umbertina, o anche “l’Immaginifico”, occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924.
La sua attività in guerra fu prevalentemente propagandistica, fondata su continui spostamenti da un corpo all’altro come ufficiale di collegamento e osservatore.
Ottenuto il brevetto di Osservatore d’aereo, nell’agosto 1915 effettuò un volo sopra Trieste insieme al suo comandante e carissimo amico Giuseppe Garrassini Garbarino, lanciando manifesti propagandistici; nel settembre 1915 partecipò a un’incursione aerea su Trento e nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell’Isonzo.
Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d’emergenza, nell’urto contro la mitragliatrice dell’aereo riportò una lesione all’altezza della tempia e dell’arcata sopracciliare destra.
La ferita, non curata per un mese, provocò la perdita dell’occhio che tenne coperto da una benda; anche da questo episodio trasse ispirazione per autodefinirsi e autografarsi come l’Orbo veggente.
Dopo la degenza, contro i consigli dei medici, tornò al fronte: nel settembre 1916 partecipò a un’incursione su Parenzo e, nell’anno successivo, con la III Armata, alla conquista del Veliki e al cruento scontro presso le foci del Timavo nel corso della decima battaglia dell’Isonzo.
Nell’agosto del 1917 compì, con i piloti Maurizio Pagliano e Luigi Gori e il loro Caproni Ca.33, decorato con l’Asso di Picche, tre raid notturni su Pola (3, 5 e 8 agosto).
Alla fine del mese effettuò col medesimo equipaggio attacchi a volo radente sulla dorsale dell’Hermada, riportando una ferita al polso e rientrando con il velivolo forato da 134 colpi.
A settembre parve realizzarsi la possibilità di effettuare l’agognato raid su Vienna.
Alla fine di settembre si trasferì a Gioia del Colle (BA), inquadrato sempre con Pagliano e Gori al comando della 1ª Squadriglia bis, per compiere una missione sulle installazioni navali del golfo di Cattaro.
Nel febbraio del 1918, imbarcato sui MAS 96 della Regia Marina, partecipò al raid navale, denominato la beffa di Buccari, azione dedicata alla memoria dei suoi compagni di volo Pagliano e Gori, caduti il 30 dicembre.
L’11 marzo 1918, con il grado di maggiore, assunse il comando della 1ª Squadriglia navale S.A. del campo volo di San Nicolò del Lido di Venezia, primo esperimento di siluranti aeree, chiamata Squadra aerea San Marco, e ne coniò il motto: Sufficit Animus (“È sufficiente [anche solo] il coraggio”).
Nell’agosto del 1918, alla guida della 87ª Squadriglia aeroplani “Serenissima”, equipaggiata con i nuovi velivoli SVA 5, realizzò il suo sogno: il Volo su Vienna.
Fino al termine del conflitto, D’Annunzio si prodigò in innumerevoli voli di bombardamento sui territori occupati dall’esercito austriaco, fino alla battaglia finale, ai primi di novembre 1918.
Primo conte di Grado e di Premuda è stato un comandante marittimo e ammiraglio italiano.
Prestò servizio nella Regia Marina durante la prima e la seconda guerra mondiale ricevendo numerose decorazioni.
Prese parte come volontario all’Impresa fiumana e alla guerra d’Etiopia.
Fu consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Nacque a Milazzo l’8 ottobre 1887 in una famiglia di comandanti di mercantili. Capitano di lungo corso nella Marina mercantile, il 17 marzo 1912 fu nominato sottotenente di vascello di complemento della riserva navale.
Nel primo conflitto mondiale, dal giugno 1915 alla fine del 1916 venne destinato alla difesa marittima di Grado, dove, agli ordini del capitano di corvetta Filippo Camperio prima e del capitano di fregata Alfredo Dentice di Frasso poi, si distinse particolarmente, ottenendo anche una medaglia d’argento al valor militare.
Successivamente fu trasferito nella neonata squadriglia dei MAS, prendendo parte a varie missioni di guerra. Fra queste si ricordano:
maggio 1917: cattura di due piloti di un idrovolante austriaco ammarato per avaria; per tale azione ottenne la seconda medaglia d’argento al valor militare;
dicembre 1917: affondamento della corazzata guardacoste austriaca Wien, avvenuto nella rada di Trieste. Per questa azione Rizzo venne decorato con la medaglia d’oro al valore militare. Nello stesso mese, per le missioni compiute nella difesa delle foci del Piave, venne decorato con una terza medaglia d’argento al valor militare e promosso tenente di vascello per meriti di guerra, ottenendo il passaggio in s.p.e. (servizio permanente effettivo);
febbraio 1918: con Gabriele D’Annunzio e Costanzo Ciano partecipò alla “Beffa di Buccari”, ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare, commutata al termine della guerra in medaglia d’argento al valor militare;
giugno 1918: il 10 giugno 1918, al largo di Premuda, attaccò e affondò la corazzata Szent István. Per questa azione venne insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia; infatti, in virtù del R.D. 25 maggio 1915 n. 753, che vietava di conferire alla stessa persona più di tre medaglie al valore cumulativamente d’argento e d’oro, non fu fregiato della seconda medaglia d’oro al valor militare. Tale limitazione fu abrogata con il R.D. 15 giugno 1922 n. 975 e quindi con R.D. 27 maggio 1923 gli fu revocata la nomina a cavaliere dell’Ordine militare di Savoia e concessa la medaglia d’oro al valor militare per l’impresa di Premuda.
Volontario fiumano nel 1919, fu posto da D’Annunzio alla guida della Flotta del Quarnaro e prestò la sua attività in favore del rifornimento di viveri alla città fino agli inizi del 1920.
Quell’anno lasciò il servizio attivo con il grado di capitano di fregata.
Nel 1925 assunse la presidenza della Società di Navigazione Eolia di Messina, carica che manterrà fino al 1948.
L’anno successivo fondò a Genova la Calatimbar, società tra armatori, esportatori e spedizionieri, che aveva lo scopo di imbarcare tutte le merci in partenza da quel porto.
Alla Calatimbar parteciparono anche privati, quali la Fiat, ed Enti pubblici, come il Consorzio del porto e le Ferrovie dello Stato.
Negli anni successivi fu anche nominato presidente della Cassa Marittima Infortuni e Malattie della Gente di Mare, dell’Unione Italiana Sicurtà Marittima e della Società Anonima di Navigazione Aerea.
Conte di Cortellazzo e di Buccari è stato un militare e politico italiano, padre di Galeazzo Ciano e quindi consuocero di Benito Mussolini.
Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale, venne posto alla direzione del silurificio di Venezia della Regia Marina e nel 1916 sostituì il fratello Arturo al comando del cacciatorpediniere Zeffiro.
Promosso capitano di fregata dall’agosto 1917 al comando di unità siluranti di superficie (MAS e torpediniere), compì numerose e rischiose imprese: davanti a Cortellazzo si inserì nel blocco dell’offensiva delle corazzate austriache SMS Wien e SMS Budapest, ottenendo la quarta medaglia d’argento al valor militare.
Nel febbraio 1918 prese parte con D’Annunzio e Luigi Rizzo all’operazione della Beffa di Buccari, per la quale venne insignito della medaglia d’oro al valor militare.
Dopo la promozione a capitano di vascello per meriti di guerra del 1º aprile 1918, alla fine della guerra venne collocato su sua richiesta nell’ausiliaria per dirigere la compagnia di navigazione Il mare, di proprietà dell’industriale Giovanni Agnelli.
Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia
E’ stato Re d’Italia (dal 1900 al 1946), Imperatore d’Etiopia (dal 1936 al 1943), Primo Maresciallo dell’Impero (dal 4 aprile 1938) e Re d’Albania (dal 1939 al 1943).
Abdicò il 9 maggio 1946 e gli succedette il figlio Umberto II.
Il suo lungo regno (46 anni) vide, oltre alle due guerre mondiali, l’introduzione del suffragio universale maschile (1912) e femminile (1945), delle prime importanti forme di protezione sociale, il declino e il crollo dello Stato liberale (1900-1922), la nascita e il crollo dello Stato fascista (1925-1943), la composizione della questione romana (1929), il raggiungimento dei massimi confini territoriali dell’Italia unita e le maggiori conquiste in ambito coloniale (Libia ed Etiopia).
Morì poco più di un anno e mezzo dopo la fine del Regno d’Italia.
A seguito della vittoria nella prima guerra mondiale venne appellato “Re soldato”.
Detenne un ruolo fondamentale nella fine della neutralità italiana e nell’entrata in guerra durante la prima guerra mondiale, nell’affermazione del fascismo, nelle guerre coloniali e nell’entrata in guerra durante la seconda guerra mondiale, nell’esautoramento di Mussolini a cui seguì la precipitosa fuga dalla capitale dopo l’armistizio del 1943 lasciando esercito e civili a loro stessi.
Nel 1946 compì un tardivo tentativo di salvare la monarchia abdicando a favore del figlio ed optando per un autoesilio in Egitto.
Figlio del generale Raffaele Cadorna, divenne capo di Stato maggiore generale nel 1914 dopo l’improvvisa morte del generale Alberto Pollio e diresse le operazioni del Regio Esercito nella prima guerra mondiale dall’entrata dell’Italia nel conflitto, il 24 maggio 1915, alla disfatta di Caporetto.
Fra le accuse che più gli sono state rivolte è il disprezzo per la vita dei soldati, che parlano di disciplina brutale, punizioni eccessive e gestione degli uomini inadeguata.
A tal proposito, sono note le circolari di Cadorna scritte per invitare i tribunali militari a non “perdere tempo in laboriose interpretazioni di diritto”, e per spronare gli ufficiali a estendere la prassi delle fucilazioni sommarie e delle decimazioni.
E’ stato un generale italiano, capo di stato maggiore del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale.
Creato Duca della Vittoria alla fine del conflitto, sarà poi ministro della guerra e maresciallo d’Italia.
Nell’autunno del 1918 guidò alla vittoria le truppe italiane, iniziando l’offensiva il 24 ottobre, con lo scontro tra 58 divisioni (51 italiane, 3 britanniche, 2 francesi, 1 cecoslovacca, 1 reggimento statunitense) contro 73 austriache.
Il piano non prevedeva attacchi frontali, ma un colpo concentrato su un unico punto – Vittorio Veneto – per spezzare il fronte nemico.
Nella notte tra il 28 e 29 ottobre, Diaz passò all’attacco, con teste di ponte isolate che avanzavano lungo il centro del fronte, facendo allargare le ali per coprire l’avanzata.
Il fronte dell’esercito austro-ungarico si spezzò, innescando una reazione a catena ingovernabile.
Il 30 ottobre l’esercito italiano arrivò a Vittorio Veneto, mentre altre armate passarono il Piave e avanzarono, arrivando a Trento il 3 novembre.
Il 4 novembre 1918 l’Austria-Ungheria capitolò, e per la storica occasione Diaz stilò il famoso Bollettino della Vittoria, in cui comunicava la rotta dell’esercito nemico ed il successo italiano.