S:2 – Ep.42
Carlo Mazzoli è una persona qualunque.

Carlo era nato a Cesena, in Provincia di Forlì, il 31 agosto 1879 ed era il fiero ed irrequieto nipote di Felice Orsini, uno scrittore e rivoluzionario italiano, noto per aver causato una strage il 14 gennaio 1858, nel tentativo di assassinare l’imperatore francese Napoleone III.
Felice Orsini era un anticlericale e mazziniano convinto, fu un acceso sostenitore dell’indipendenza della sua terra d’origine, la Romagna, dal dominio dello Stato Pontificio, aveva gettato rudimentali ordigni esplosivi contro la carrozza di Napoleone III, i francesi lo arrestarono e ghigliottinarono il 13 marzo del 1858 e sua sorella era la madre del nostro Carlo Mazzoli che nel 1899 iniziava la vita militare come allievo sergente, diventerà caporale, poi caporal maggiore, quindi Sergente nel 1901 per il Regio Esercito Italiano.
Farà anche il furiere prima di diventare allievo alla Scuola Militare, le sue parole fin da subito furono chiare su ciò che voleva diventare: “A ventidue anni mi sono dato all’Italia. Vivo di essa e per essa, indifferente a tutte le gioie ed a tutti i dolori della vita”.
Al termine del corso con il grado di Sottotenente venne assegnato, nel settembre 1905, in servizio di prima nomina nei Granatieri e, pochi mesi dopo, transitò negli Alpini assegnato al Battaglione “Edolo” del 5° Reggimento Alpini.
Con questo reparto partecipò dall’ottobre 1911, come Tenente fresco di nomina, alla campagna di Libia dove si distinse nei combattimenti di Derna Ridotta Lombardia dell’11 e 12 febbraio 1912 guadagnando subito una prima medaglia d’argento, ed in quelli successivi del 17 settembre in località “Rudero” e dell’8-10 ottobre a Bu Msafer, guadagnando due medaglie di bronzo trasformate poi in Argento.
Forti nuclei turco-arabi attaccarono un battaglione del 35º Reggimento fanteria italiano inviato con compiti di sorveglianza nei dintorni della ridotta “Lombardia” dislocato nei pressi della testata del Bu Msafer; dopo un breve combattimento il battaglione riuscì a scacciare gli assalitori con ripetuti assalti alla baionetta.
Ma l’azione nemica non fu solitaria, nella stessa mattinata, verso le 11:00, le truppe turco-arabe con forze considerevoli, stimate in circa 10.000 uomini, ripresero l’offensiva tentando di accerchiare il battaglione: il tentativo fu vanificato dal pronto accorrere dei soccorsi provenienti da Derna, costituiti da un altro battaglione del 35º e da uno del 26º e dal battaglione alpini “Edolo” con il nostro Carlo Mazzoli rinforzato con elementi dei battaglioni alpini “Ivrea” e “Verona” e da una batteria da montagna.
Le forze sopraggiunte, attaccando sulla sinistra, riuscirono prima a respingere e poi a far retrocedere le forze rivali che si attestarono combattendo in un vallone situato nella zona dell’Uadi Msafer dove si organizzarono a difesa, le perdite da parte italiana furono di 8 ufficiali morti e 57 uomini di truppa, feriti 13 ufficiali e 164 soldati, ma la stima delle perdite da parte turca si aggirò su circa 800 uomini.
Con la conclusione della guerra italo-turca, dal gennaio 1913 venne inviato in Albania quale componente della commissione internazionale per la riorganizzazione di quello Stato, ma visto l’imminente ingresso nella prima guerra mondiale dell’Italia, fu richiamato in patria nel gennaio 1915, venne promosso Capitano e transitò nell’8° Rgt. Alpini.
La grande guerra iniziò e gli venne affidato il comando della 97ª compagnia del Btg. “Gemona”, la “compagnia dei Briganti” e venne inviato a presidiare la Val Dogna in Carnia, il motto della 97ª era “Mai daùr”, “Mai indietro” e motto più azzeccato per Carlo Mazzoli non esisteva.
Prestante nel fisico, al pari degli alpini friulani che componevano quasi esclusivamente la compagnia, aveva un forte ascendente sui suoi uomini che guidava nelle varie azioni ponendosi sempre alla testa, ai soldati piaceva anche la sua spregiudicatezza e l’anticonformismo, per esempio, attribuiva il soldo e le licenze in base al merito effettivo e non al diritto formale.
Spesso li comandava in pattuglia di notte nelle retrovie per razziare legname o altro materiale al comando del proprio Genio italiano, “sordo” alle richieste del loro fabbisogno, non mancarono giovani ufficiali subalterni che abbreviarono la licenza a casa per tornare al fronte al suo fianco.
Per il suo aspetto decisamente anticonformista, portava i capelli lunghi fino alle spalle e una folta barba, fu presto soprannominato il Garibaldi della Val Dogne, lui raccontava di essere stato autorizzato dal Re in persona a portarli e nessuno sentì mai la necessità di smentirlo o di controllare se quello che dicesse fosse realmente vero.
Usava i suoi lunghi capelli per cercare di nascondere le cicatrici che portava come ricordo delle battaglie fatte in Libia, altra sua caratteristica era quella di attorniarsi di grossi cani che personalmente addestrava a varie mansioni e che conduceva all’attacco.
Determinante il suo apporto per la scaltrezza ed impiego tattico della compagnia nella battaglia del 18 e 19 ottobre che portò alla conquista del Mittagskofel, in quell’occasione una bomba lo abbatté procurandogli ben tredici ferite, subito lo dettero per morto, ma aveva la pelle dura e si salvò.
Raccolto con delle coperte dai suoi e portato al vicino ospedale da campo, dopo tre mesi, contro ogni più rosea previsione, fu di nuovo in piedi e venne promosso al grado di Maggiore per meriti di guerra.
La promozione però, con suo grande rammarico, lo allontanò dagli alpini in quanto destinato al comando di un battaglione di fanteria della Brigata Cuneo, comandata a sua volta dal colonnello BADOGLIO, teatro di battaglia furono le quote di Selz a Gorizia.
L’offensiva porterà all’occupazione di parte di una trincea nemica dislocata in prossimità del valloncello di Selz, vicino all’attuale Ronchi dei Legionari sul fronte carsico, un’azione durante la quale il reggimento perderà 250 uomini, 19 di questi erano ufficiali.
Anche qui si distinse per l’audacia ed i vittoriosi risultati e fu decorato con un’altra medaglia d’argento, i comandi austriaci che cercarono caparbiamente con ripetuti attacchi di riconquistare le posizioni perdute, sempre tenacemente respinti, lo soprannominarono “il diavolo” e posero una taglia per la sua cattura.
Verrà poi chiamato il 1 Febbraio 1917 dal Generale Barco, suo Comandante in Libia, a comandare il battaglione “Val d’Orco” del 4° Rgt. Alpini, doveva ricostituire lo spirito del Battaglione fortemente provato dai combattimenti della zona del Monte Nero, cima duramente conquistata il 16 giugno 1915 ma ripetutamente sotto attacco nemico per la riconquista.
Assegnato alla difesa di Val Zebrù a Capanna Milano (m. 2877) si rese ben presto protagonista di quella “guerra bianca” d’alta quota che lo vide quale principale stratega nei successivi venti mesi di guerra.
Resosi subito conto di essere si alpino ma non alpinista, nel senso tecnico della definizione che comprende anche la necessità legata al teatro di battaglia, affrontò subito un duro addestramento con gli scalatori arditi di Val Zebrù.
Per risparmiare estenuanti fatiche ai suoi alpini organizzò per primo una “corvè” di asini per il traino di slitte con viveri e munizioni, ben presto però furono sostituiti con migliori risultati dai suoi grossi cani che personalmente addestrava.
Questa sua idea, raccolta dallo Stato Maggiore dell’Esercito, portò ad istituire un “reclutamento” di cani da slitta inviati prima presso i canili militari per l’addestramento, il più importante era a Bologna, quindi assegnati ai reparti alpini “cagnari”.
Nel maggio 1917 dopo accurato studio e preparazione, si rese protagonista dell’azione di conquista della quota a m. 3800 di cima Königspitze, a pochi metri dagli austriaci, quota che rimane la più alta occupazione dell’esercito italiano raggiunta per “via ordinaria”.
Ai primi di settembre guidò la riconquista della strategica quota 3555 di Punta Trafoier, strappata agli alpini qualche giorno prima, con lo stratagemma usato dal nemico di una galleria di circa 1400 metri scavata nel ghiaccio.
Sorpreso dal metodo insidioso e nuovo usato dall’oppositore, decise subito per il contrattacco, scegliendo però lo scontro diretto frontale, l’azione riuscì e molti furono i decorati, escluso il comandante.
Promosso Tenente Colonnello nel gennaio 1918, si rese ancora protagonista di altre impegnative azioni per la conquista definitiva dell’intero gruppo Ortles, Zebrù, Cevedale, San Matteo.
Con la conclusione della guerra e la resa austriaca del 4 novembre 1918, venne nominato nella Commissione istituita per definire i nuovi confini dell’Italia e nel 1920, conclusi i lavori della Commissione italo-austriaca, venne assegnato in servizio al Comando del 2° Rgt. Alpini.
Insofferente alla vita di caserma, amante com’era degli spazi aperti, pochi mesi dopo chiese ed ottenne di partire per la Cirenaica con l’incarico di consulente militare.
Si sposerà con Rimpatrio nel 1926 per fine missione, al termine della licenza però, chiese di ritornare ancora in colonia dove assunse il comando di un reparto di polizia militare con compiti di scorta armata alle carovane dei coloni italiani.
Ma dalla inquieta Cirenaica il 10 giugno 1928, una lunga lettera del Cappellano militare padre Ezechiele Frambrosi inviata a Cesena a don Giuseppe Mazzoli, allora parroco di San Rocco, chiudeva con questa affermazione: “Si consoli, Rev.mo Signore, il colonnello Mazzoli è in Paradiso“.
Un’affermazione cristianamente importante che leniva un grande dolore per una notizia drammatica, giunta improvvisa da quel lontano lembo d’Africa, Carlo, il fratello maggiore del sacerdote, di appena 49 anni, era deceduto nell’ospedale di Bengasi per un’infezione da tifo contratta per aver bevuto acqua inquinata in un’oasi del Fezzan.
La salma riportata in Italia ed onorata con solenni funerali alla presenza delle massime autorità cittadine e reparti in armi, venne tumulata nel cimitero di Cesena.
Sul fronte delle più alte vette delle nostre Alpi dove eccelsero i suoi valori di uomo e di soldato, la eco del colonnello Carlo Mazzoli tramandata come leggenda, é ancor viva oggi dopo oltre un secolo trascorso, in quelle popolazioni d’altitudine dove il vento delle grandi montagne che sovrastano, lambendo altissime cime innevate, creste vertiginose, pareti inaccessibili, oscure forre e ghiacciai, continua a spolverare memorie su memorie di eroismi e di umanità profonda.
Ma questa, è un’altra storia.

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