S:1 – Ep.14
Anthony Sayer è una persona qualunque.
Diremo poco su di lui, semplicemente è stato il primo gran maestro fondatore, nel 1717 della prima loggia massonica moderna riconosciuta.
Perché allora lo abbiamo scomodato per concludere lo speciale sugli attentati a Benito Mussolini?
Nel primo dei quattro attentati alla vita del capo del governo italiano negli anni 1925 e 1926, due massoni, il deputato socialista Zaniboni e l’ex generale del regio esercito italiano Capello, uno dei responsabili della disfatta di caporetto, vennero scoperti prima dell’attentato stesso grazie a Carlo Quaglia, uno studente di giurisprudenza a tempo perso e giornalista del periodico del Partito popolare «Il Popolo» ma, soprattutto, un informatore della polizia.
Zaniboni inizialmente dichiarò di voler sparare a Roberto Farinacci, il ras di cremona e massone anche lui, ma poi ritrattò e affermò che voleva veramente uccidere il Duce.
Non ci è dato a sapere se la sua prima dichiarazione fosse un disperato tentativo di distogliere l’attenzione proprio dal Farinacci all’inizio delle istruttorie o se fosse un modo qualsiasi per cercare di alleggerire un’eventuale condanna del tribunale speciale, organo istituito proprio da Mussolini e sotto al suo diretto comando.
Al processo, come si leggerà nei verbali, testimonierà anche lo stesso Mussolini: “Il capo del fascismo confermava di essere stato informato di un possibile attentato sia da Farinacci che dalla Direzione Generale di pubblica sicurezza, ma a queste voci non aveva dato grande peso, sapendo che sicuramente non avrebbe corso alcun rischio.
Il duce era perfettamente al corrente dell’esistenza di un contatto tra Quaglia e alcuni fiduciari che agivano per conto del ras di Cremona.”
Il duce era convinto che Zaniboni e Capello non agissero su mandato di Farinacci, o almeno questo dichiarò in aula.
Roberto Farinacci fu iniziato alla massoneria di Quinto Curzio a cremona nel 1915 ma venne espulso per indegnità, aderì poi alla gran loggia di piazza del Gesù ma anche qui venne espulso nel 1916 per aver tentato di venire esentato dal servizio militare.
Vicino a Mussolini fondò il fascio di combattimento di cremona nel 1921 e fu eletto deputato tra le file fasciste, poi si laureò in giurisprudenza con una tesi, pare, acquistata da un altro studente.
Contestò il patto di pacificazione tra socialisti e fascisti promosso proprio da Zaniboni, il primo attentatore, assumendo così la leadership dello squadrismo più intransigente.
Non soddisfatto del fascismo al potere, richiamò per una seconda ondata rivoluzionaria atta a cancellare totalmente il liberalismo.
Andò subito in contrasto con i personaggi simbolo del fascismo più moderato, come Gabriele d’Annunzio e lo stesso Mussolini che lo invitò più volte alla moderazione.
Dopo l’arresto dei presunti assassini di Matteotti, farinacci assunse la difesa di Dumini, capo della Ceka fascista, una sorta di servizio segreto politico, ma prima che si arrivasse alla sentenza finale, Farinacci fu obbligato alle dimissioni.
Antisemita, il “monco” Farinacci, che aveva perso una mano pescando con le bombe ma facendolo passare come ferita di guerra per il vitalizio, fu obbligato da Mussolini a devolvere in beneficienza la sua pensione di invalidità.
Dopo la condanna a trent’anni di Zaniboni, Mussolini decise di aiutare economicamente la figlia del deputato a terminare gli studi universitari e ridusse da 30 a 9 gli anni di reclusione del generale Capello.
I soldi per questo attentato, si scoprirà poi, provenivano da Tomáš Masaryk il capo del governo cecoslovacco, anche lui, neanche a dirlo, convinto massone.
Il fascismo non approvava la massoneria, o meglio, non approvava nessuna organizzazione di qualsiasi tipo al di fuori del fascismo stesso, quindi, non simpatizzava certamente per Zaniboni, Capello, Masaryk e lo stesso Farinacci e Mussolini non lo nascondeva.
5 mesi dopo avvenne il secondo attentato al Duce.
Violet Gibson, malata di mente nobile inglese gli sparò mancandolo per un soffio.
La “pazza” era arrivata in Italia da poco e riuscì a studiare i movimenti di Mussolini, procurarsi una pistola, imparare ad usarla e anche bene se si considera che comunque lo ferì di striscio al naso ed il tutto in uno stato in cui non parlava nemmeno la lingua e nel giro di pochi mesi.
Non poteva aver agito da sola, si sospettò di Cesarò, un nobile italiano, entrambi erano teosofici ed esoterici, Cesarò era anche lui un massone di altissimo livello.
Vari indizi pesavano su di lui: alcuni testimoni riferirono della presenza di un uomo, dall’aspetto corrispondente a quello del duca, che avrebbe parlato con la Gibson poco prima del fatto e nell’ultimo interrogatorio la donna fece proprio il nome di Cesarò, dicendo che effettivamente aveva parlato con lei e le aveva consegnato la pistola, dichiarazione poi ritrattata, non ci è dato a sapere se fu estorta, la prima o la seconda che sia.
Cesarò affermò di poter utilizzare l’ipnosi per convincere il volere altrui, anche a distanza, nel compiere azioni, certo serviva la persona giusta e sarebbe stato più facile se fosse stata debole mentalmente.
La descrizione calzava alla Gibson, uscita da un manicomio da poco, che aveva aggredito un’amica con un’arma da taglio e che aveva tentato il suicidio poco prima di arrivare in Italia, un capro espiatorio perfetto.
Mussolini fece ottenere l’infermità mentale alla Gibson e la rispedì nell’istituto mentale nel regno unito da dove proveniva, Cesarò non venne condannato per estraneità dei fatti.
Si pensò, anche in questo caso a coinvolgimenti internazionali sempre legati agli ambienti massonici.
Dopo altri 5 mesi avvenne l’attentato di Lucetti, un ex anarchico tornato dalla Francia.
Lanciò una bomba sull’auto del duce che rimbalzando sul cofano esplose ferendo dei passanti, ma non mussolini.
Almeno, questo bombe e pistole le aveva già usate durante la sua carriera da ex militare e antifascista prima di scappare a Marsiglia anche se la sorte gli fu avversa in quell’occasione.
Insieme a lui, uscirono i nomi di Sorio (che l’aveva ospitato), Vatteroni e Baldazzi (che gli aveva dato la pistola e un aiuto economico alla moglie dopo il suo arresto), tutti antifascisti convinti.
La bomba non si sa dove la trovò, o non lo disse mai.
Si pensò ad un’organizzazione su larga scala italiana ma non ci furono prove, non emersero nomi di massoni in questa occasione, almeno ufficialmente.
Arpinati, anche lui massone assodato, Bonaccorsi e Volpi linciarono, insieme ad altri, Anteo Zamboni, il quindicenne sospettato di aver sparato al duce a Bologna il mese successivo l’attentato dell’anarchico Lucetti.
Farinacci, sospettato di aver organizzato l’attentato se non quello che aveva sparato fisicamente al duce prima di mollare la pistola a terra davanti al ragazzo, venne riconosciuto anche da una prostituta poi sparita nel nulla che non poté mai dichiarare davanti ai giudici ciò che vide.
Testimoni furono il maresciallo Francesco Burgio che vide qualcuno spostare un soldato del cordone, alzare una pistola e fare fuoco, Vincenzo Acclavi diede un colpo al braccio che fece sbagliare di mira l’attentatore, Carlo Alberto Pasolini che vide la pistola davanti al ragazzo e lo bloccò e gli squadristi che lo linciarono.
Quindi, un ragazzino nemmeno tanto intelligente, o così veniva definito con il soprannome de il Patata, era riuscito ad organizzare un attentato a Benito Mussolini recandosi dove sarebbe passato, spostando la folta folla ed un militare del cordone di sicurezza e sparando dall’alto verso il basso, con una pistola acquistata evidentemente con il suo stipendio di fattorino nell’azienda tipografica del padre, pur disturbato da Acclavi che vide solo il braccio armato, braccio visto anche da Burgio ma ne loro ne nessun altro presente nella folla riuscì a testimoniare con certezza che fosse stato Anteo.
In quell’occasione Farinacci fu l’unico gerarca non invitato ufficialmente alle celebrazioni ma era presente a Bologna in quei giorni.
Dopo le varie condanne si ebbero grazia e indulgenza da parte di Mussolini, nei confronti di Capello alleggerendogli la pena e aiutando negli studi la figlia di Zaniboni, facendo dichiarare insana di mente la Gibson e rimandandola a “casa” nel Regno Unito praticamente impunita, con l’amnistia a Sorio e Vatteroni, i complici di Lucetti e in fine graziando i parenti di Anteo e, soprattutto, impartendo ordini a tutte le forze dell’ordine, pubbliche e politiche, di terminare le indagini sui suoi attentati.
Ma perché avrebbero attentato alla vita di Mussolini?
Il deputato socialista e ex ufficiale dell’esercito Zaniboni era un massone convinto antifascista e dopo l’omicidio Matteotti si convinse ulteriormente che il duce ne fosse la causa, diretta o indiretta.
Capello era massone ed era stato letteralmente cancellato come generale italiano, Diaz e perfino Cadorna vivevano di gloria della vittoria della prima guerra mondiale ma Caporetto era una macchia che non si toglieva facilmente dalla divisa di Capello.
E Masaryk?
Forse era veramente all’oscuro di tutto, mandò soldi aiutando da massone a massone.
Cesarò, nobile e massone anch’esso, credeva nella democrazia ovviamente minata dal fascismo e dal suo leader Mussolini, per sue stesse citazioni riportate: l’unico modo per ristabilirla sarebbe stato l’omicidio del Duce.
Lucetti, Sorio, Vatteroni e Baldazzi erano ex arditi anarchici estremisti e antifascisti e ci si aspetterebbe un attentato da loro, il perché è inutile dirlo.
Certo ci vuole comunque organizzazione e denaro per portarlo a termine ma nessun nome di massone uscì dall’indagine, come ci si aspetterebbe da ex militari addestrati.
Anteo non sa nessuno perché lo avrebbe fatto ma molti sanno perché lo avrebbe fatto Farinacci, massone, in completa discordanza con il Duce.
Chissà se Anthony Sayer, quando fondò per primo la massoneria, si sarebbe aspettato tutto questo più di due secoli dopo, in fondo, lui aveva unito solo gruppi che si ritrovavano in pub londinesi diversi per aiutarsi tra di loro.
Ma questa, è un’altra storia.
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