Antonio Cantore – Il numero primo

S:1 – Ep.4

Antonio Cantore è una persona qualunque.

La storia di quest’uomo è piena di un numero primo, fu il primo ufficiale italiano morto durante la prima guerra mondiale, fu il primo, a cui ancora oggi, non si riesce a sapere con certezza chi lo abbia veramente ucciso creando il vero primo giallo ancora irrisolto del Regio esercito italiano.

Antonio Tomaso Cantore nacque il 04 agosto a San Pier d’Arena nel 1860, figlio di Felice e Marianna Ferri.

Dopo gli studi compiuti presso un istituto tecnico, nel 1878 entrò nell’Accademia militare di Modena e una rapida carriera lo portò nel 1908 alla sua promozione a colonnello.

Pochi mesi dopo, però, dalla fanteria rientrò negli alpini, per assumere l’anno successivo il comando dell’8º alpini, di nuova formazione.

Il 28 settembre 1912 Antonio Cantore fu imbarcato per la Libia.

Al suo ritorno in Italia nel 1914 divenne maggiore e posto al comando della brigata Pinerolo, tuttavia, preferì cambiare il proprio incarico con quello di comandante della 3ª brigata Alpini, divenne infine generale della 2ª divisione di fanteria nel giugno 1915.

Cantore era un comandante spericolato e temerario, duro ed arrogante che non si limitava a dirigere le operazioni da lontano, ma faceva in modo di trovarsi sempre in prima linea.

Per questo, era molto apprezzato dai vertici e da alcuni subalterni, ma non certo amato dalla truppa che sottoponeva a continui pericoli ordinando assalti anche in condizioni impossibili.

Non a caso, le sue unità subivano sempre parecchie perdite, anche se questo passava in secondo piano nei bollettini ufficiali rispetto alla conquista delle posizioni che raggiungeva.

Cantore, allo scoppio della Grande Guerra, fu assegnato al fronte dolomitico, uno dei più insidiosi.

Qui, nella zona di Cortina d’Ampezzo, cominciarono subito dei furiosi scontri per ottenere il controllo delle Tofane, un gruppo montuoso che permetteva di dominare l’intera valle sottostante e in particolare del Castelletto, ancora in mano austriaca.

Proprio nel Castelletto, gli austriaci si erano ben fortificati all’interno della roccia e la conquista appariva difficilissima.

Nel luglio del 1915, Cantore elaborò un piano per dare l’attacco a quella posizione apparentemente inespugnabile: un piano che prevedeva la risalita dei soldati italiani dalla quota 1300 in cui si trovavano alla quota 1800 in cui erano gli austriaci, costruendo trincee nella roccia, sotto il fuoco incessante delle mitragliatrici nemiche.

Anche nella migliore delle ipotesi, tale condotta avrebbe avuto un costo altissimo in termini di perdite ma Cantore, cui gli altri ufficiali lo fecero subito notare, se ne infischiava.

Quel piano, però, non fu mai attuato.

La sera del 20 luglio, dopo aver passato la giornata a ispezionare i reparti, Cantore si recò a compiere una ricognizione in prima linea e qui, mentre si sporgeva da un punto di osservazione tra le rocce si espose al fuoco.

Tiratori principianti” disse, riferito ai cecchini austriaci che lo mancarono al primo colpo esploso, ma furono le ultime sprezzanti parole attribuite al generale rivolte ad un soldato che lo invitava a ritirarsi in trincea prima di essere visto e abbattuto mentre guardava da un binocolo.

Ma chi uccise Cantore?

Esistono diverse teorie alternative al riguardo, poco verificabili perché tutte sotto forma di testimonianze riportate.

L’unica prova realmente esaminabile è il berretto che il generale portava nel momento in cui fu colpito, che ha un foro di proiettile sulla visiera.

Le dimensioni di questo foro hanno provocato una interminabile serie di discussioni tra gli esperti, perché secondo alcuni è troppo piccolo per corrispondere al calibro 8 e 7,92 mm dei proiettili in dotazione agli austriaci e tedeschi e secondo altri è troppo grande per corrispondere al calibro 6,5 mm dei proiettili in dotazione agli italiani.

Già, italiani, perché come abbiamo detto il generale Cantore non era sempre ben visto nemmeno dai suoi uomini.

Di certo c’è che il generale indossava una giubba da truppa, proprio per non essere riconosciuto come tale, gli ordini dietro le linee austroungariche erano quelle di abbattere tutti gli ufficiali italiani a tiro di fucile e il generale lo sapeva ma, fatalmente, dimenticò in testa il berretto da generale, simbolo distintivo del suo grado, quello bucato dal proiettile che lo uccise.

Una prima ipotesi sostiene che Cantore sia stato semplicemente vittima del “fuoco amico”: spintosi troppo in avanti e poco visibile nella luce crepuscolare, sarebbe stato scambiato per un nemico da un alpino che gli avrebbe sparato per errore, colpendolo perfettamente in mezzo alla fronte.

Ma gli alpini sapevano che il loro generale era in zona per dei sopralluoghi, e soprattutto erano posizionati alle sue spalle, se così fosse, fu errore o un modo per evitare una imminente missione suicida?

Voci maligne diffusero perfino notizie dove gli alpini, dopo la scomparsa del loro generale, festeggiarono per 7 giorni di fila, ma se così fosse stato, perché poi Gunther Langes, che nel suo “La guerra tra rocce e ghiacci” scrive:

L’eroico Cantore cade di palla in fronte il 20 luglio mentre esamina a breve distanza le posizioni nemiche della forcella: alpini e fanti in bella fraternità di spiriti ed armi lo vendicano pochi giorni dopo, conquistando la sera del 2 agosto, dopo due giorni di lotta accanita, la difficile posizione, saldamente tenuta dai cacciatori prussiani.

Sembra davvero poco plausibile che i soldati che lo vendicarono con tanto ardimento fossero reduci dai “festeggiamenti” per la sua morte, durati addirittura una settimana.

Nessun alpino di ieri e di oggi festeggerebbe la morte di un “fratello”, nemmeno se esso fosse di alto grado e in disaccordo con tutti, alpini una volta alpini sempre, parola d’alpino.

Secondo un’altra ipotesi, a uccidere Cantore sarebbe stato un civile, un cacciatore di Cortina d’Ampezzo o peggio ancora, il capo dei vigili urbani della zona, questo perché il generale voleva evacuare la città di Cortina per installarvi il suo quartier generale.

Ciò avrebbe comportato l’inserimento della località negli obiettivi da bombardare e conquistare da parte degli austriaci e la distruzione di tutte le sue strutture turistiche, allora già ben note, che tenevano in piedi l’economia dell’area.

Per evitarlo, i civili, o quelli che all’ora si chiamavano ancora vigili urbani, avrebbe deciso di uccidere il generale.

Non possiamo nemmeno ignorare il sentimento d’appartenenza austriaca della Cortina di quei tempi da sempre albergato oltre Dogana Vecchia.

Ma un cacciatore o il capo dei vigili urbani si sarebbero arrampicati in quella zona sotto il tiro dei cecchini austroungarici per fare ciò che lo stesso cecchino avrebbe potuto fare dalla sua posizione?

Fatto rimane che il foro del proiettile, oggi, è troppo piccolo per essere austroungarico e troppo grande per essere italiano, anche civile o dei vigili urbani.

Ma la fisica balistica ci insegna che un foro fatto nel cuoio tende a slabbrarsi e restringersi con il tempo, quindi, fisicamente dobbiamo escludere gli alpini che usavano un M91 da 6.5 mm dell’esercito o un vigile urbano armato a quei tempi di un Mauser Swedish mod. 1896 con cartuccia sempre da 6,5mm e senza cannocchiale oltretutto.

Una terza ipotesi è quella per cui Cantore, nel pomeriggio del 20 luglio, avrebbe ordinato ad alcuni ufficiali di prepararsi a partire all’alba del giorno seguente per una vera e propria missione kamikaze ai piedi del Castelletto, cosa che il generale non era nuovo ad organizzare e che, davanti alle loro resistenze, li abbia minacciati di deferimento alla Corte Marziale.

Le sue escandescenze avrebbero fatto perdere la pazienza a uno degli ufficiali, che avrebbe estratto la pistola e gli avrebbe sparato.

Si, ma con cosa?

Le pistole in dotazione agli ufficiali in quel determinato periodo storico erano la rivoltella Bodeo mod. 1874, calibro 10,35 e la più moderna pistola automatica Glisenti mod. 1910, calibro 9; se a sparare fosse stata una di queste armi il diametro del foro sarebbe stato ancor maggiore di quello del fucile austriaco, calibro 8 o 7.92 del mauser tedesco che, come detto, foro troppo piccolo addirittura per loro.

Tenendo conto altresì che l’ufficiale lo avrebbe fatto davanti alla truppa e agli altri ufficiali presenti, il rischio di una carenza di omertà lo avrebbe conferito immediatamente alla corte marziale.

Ma i dubbi sono nati anche dal fatto che, se fosse stato veramente un cecchino austriaco ad uccidere il generale, per colpire con una precisione sconcertante un bersaglio mobile alla distanza di poco meno di 200 metri, dall’alto verso il basso, dunque prevedendo il calo del proiettile, il cecchino dev’essere stato un tiratore formidabile, non certo quello che lo mancò al primo colpo, tanto più che stiamo parlando di un proiettile di vecchia concezione, cilindrico, pesante e tozzo, con traiettoria poco tesa, derivato dal vecchio calibro 8 a polvere nera”.

Dalla parte austroungarica ci furono 5 rivendicazioni per quel colpo, una delle quali porta il nome di Enrico Berlanda, ai tempi austroungarico insignito dell’aquila d’argento alle gare di tiro militare a Vienna, ma si sa, a quei tempi, potersi vantare di aver ucciso un ufficiale nemico, a volte, era semplice propaganda.

La verità è praticamente impossibile da accertare, anche riesumando il cadavere, si potrebbe definire il calibro ma non la mano che esplose il colpo uccidendolo.

Pur senza volere contribuire al “mito” di Cantore, figura che, come uomo e comandante presenta indubbiamente luci ed ombre, possiamo quindi rendere pienamente agli Alpini l’onore che meritano, ma questa, è un’altra storia.

Un foro troppo piccolo per essere quello di fucile di un cecchino austriaco o di una pistola da ufficiale italiano, un foro troppo grande per essere quello di un alpino, di un civile o di un vigile urbano, ma allora chi uccise Cantore?

Senza sempre non voler contribuire al mito di Cantore, figura che, come uomo e comandante presenta indubbiamente luci ed ombre, possiamo quindi rendere agli alpini l’onore che meritano.

Ma questa è un’altra storia.

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