S:1 – Ep.15
Aurelio Baruzzi è una persona qualunque.
Nasce a Lugo il 9 gennaio 1897, è figlio di Giovanni e di Pia Cortesi, si diplomò ragioniere all’Istituto tecnico di Ravenna trovando subito un impiego in una banca locale.
Ma la contabilità non era quello che voleva fare nella vita Aurelio, era un operativo e rinchiuso in una banca si sentiva come gli animali selvatici in gabbia.
Ben pochi uomini nel 1915, ma anche ai giorni nostri, avrebbero fatto la scelta di Aurelio, abbandonare un sicuro e confortevole posto in banca per rischiare di perdere la vita in guerra, l’aria bellica era sempre più intensa e un ingresso nelle ostilità era già prevedibile e previsto, l’Italia aveva bisogno di uomini come Baruzzi, così in febbraio, si arruolò volontario nel Regio esercito come allievo sergente del 41º Reggimento fanteria, col quale entrò nella prima guerra mondiale il seguente 24 maggio.
Nel dicembre di quell’anno fu nominato sottotenente di complemento e assegnato al 28º Reggimento fanteria.
Pochi giorni dopo, il 22 dicembre, ricevette una prima medaglia di bronzo al valor militare per il suo comportamento durante la Seconda battaglia dell’Isonzo, nei combattimenti sui monti Sabotino e Podgora.
Sull’Isonzo, il fiume che faceva da frontiera orientale con l’Austria-Ungheria, le aspre battaglie si susseguivano e nel corso della Sesta battaglia Baruzzi si rese protagonista di uno degli episodi più strabilianti della Grande guerra.
Durante questa offensiva, precedendo all’attacco del reggimento, il 6 agosto si lanciò all’assalto di una postazione d’artiglieria austriaca, alla testa di un piccolo reparto di bombardieri a mano, riuscendo a neutralizzarla e catturando quattro lanciabombe e i militari addetti al loro tiro.
L’indomani l’avanzata verso Gorizia era bloccata da una forte postazione nemica dotata di mitragliatrici, insediatasi in una galleria ferroviaria della linea Lucinico-Gorizia e inattaccabile dall’artiglieria italiana perché lasciata a proteggere l’arretramento delle linee austriache.
Ripetuti tentativi di attacco frontale erano falliti, con pesanti perdite umane per la fanteria italiana, gli austriaci si sentivano sicuri e protetti e non vi era operazione che riuscisse a stanarli da quel buco.
Baruzzi si sentiva forte del prestigio derivante dall’azione dei suoi bombardieri a mano del giorno precedente così propose ai suoi superiori di lasciargli guidare un nuovo assalto con una ventina di uomini.
Poca cosa a confronto a ciò che poteva contenere realmente quella galleria, ma l’idea era di riuscire a posizionarsi ai lati della stessa e trovarsi a distanza utile per lanciare all’interno delle bombe a mano incendiarie e fumogene di “tipo Thévenot”, in modo da consentire ai fanti di raggiungere l’obbiettivo con il minor numero di perdite possibile, gli pareva una strategia vincente in quel momento.
I suoi superiori però, ritenevano l’azione pressoché inattuabile, non se la sentirono di investire venti uomini in un’azione quasi suicida, avevano perso già troppe vite nei falliti tentativi precedenti e quindi, se ci voleva provare, poteva farlo ma gli vennero concessi solo quattro uomini.
Sentiti i quattro volontari, Baruzzi decise di tentare ugualmente.
All’alba dell’8 agosto i cinque militari italiani lasciarono la trincea e, non visti, riuscirono a portarsi all’imbocco della galleria, presidiata da alcuni ignari austriaci.
In quattro, il piano di lanciare fumogeni e bombe incendiarie era futile, la loro potenza di attacco sarebbe stata vana e si sarebbero trovati sommersi dal fuoco austriaco, Aurelio fece prigionieri le guardie nemiche e, sul momento, decise di cambiare completamente strategia.
Riuscì a convincerli di essere alla testa di un intero battaglione attestato d’intorno e pronto all’assalto, ad un loro tramite offrì la facoltà di resa, garantendo salva la vita ai prigionieri.
Ci fu una breve trattativa ma le condizioni vennero accettate e fu così che Baruzzi e i suoi quattro bombardieri a mano incanalarono verso le linee italiane la colonna di prigionieri austriaci, composta da duecento fanti e dai loro ufficiali, sotto gli sguardi increduli dei commilitoni.
L’azione comportò la cattura di ingenti scorte di materiale bellico, oltre ad aprire la via di Gorizia così, assicurati i prigionieri alla custodia italiana, Baruzzi e i suoi bombardieri a mano non si attardarono in convenevoli e, imboccata la galleria, si diressero speditamente verso Gorizia che raggiunsero in giornata, guadando l’Isonzo.
Arrivati nella città appena sgomberata dalle truppe austriache e semidistrutta dai bombardamenti, ne presero formalmente possesso innalzando la bandiera italiana sul pennone della stazione ferroviaria.
Il forte valore simbolico dell’atto e le eclatanti imprese dei giorni precedenti valsero a Baruzzi la medaglia d’oro al valor militare, assegnatagli il 4 settembre 1916 dal re Vittorio Emanuele III.
Per l’occasione venne organizzata una cerimonia in grande stile e la decorazione fu gli consegnata personalmente sul campo dal Duca d’Aosta, davanti alle rappresentanze schierate di tutti i Reggimenti della 3ª Armata, mentre alcuni aerei sorvolavano la spianata lanciando fiori.
«Comandante di un reparto di bombardieri a mano, si slanciava per primo in un camminamento austriaco, catturandovi uomini e materiali. Due giorni dopo, accompagnato da soli quattro uomini, irrompeva in un sottopassaggio della ferrovia apprestato a difesa, contro il quale si erano spuntati gli attacchi dei due giorni precedenti, intimando audacemente la resa a ben duecento uomini, che venivano catturati unitamente a due cannoni e ricco bottino di armi e materiale. Più tardi partecipava al passaggio a guado dell’Isonzo, si spingeva in Gorizia e nella stazione innalzava la prima bandiera italiana.»
Nell’ottobre successivo venne promosso tenente e inserito nei ruoli del servizio permanente per merito di guerra, meglio non farselo scappare un soldato di questa lena.
Nel 1917 non resistette alla tentazione di entrare nei Reparti d’assalto degli arditi del Reggimento, partecipando a varie azioni, e nell’ottobre dello stesso anno venne promosso al grado di capitano.
La carriera di Aurelio avanzava speditamente come la guerra che entrava nel suo ultimo anno, durante la Battaglia del Solstizio, il 19 giugno 1918, il suo battaglione di Arditi venne inviato a sostenere l’azione della Brigata “Perugia”.
Il reparto comandato da Baruzzi si spinse molto in profondità oltre le linee nemiche e nei pressi di Meolo venne accerchiato dagli austriaci e neutralizzato dopo un’accanita resistenza.
La notizia della scomparsa del capitano Baruzzi e del suo reparto di arditi sollevò una grande impressione sia tra i commilitoni, sia nell’opinione pubblica per la quale l’impavido Aurelio era ormai diventato una figura romanzesca e di significativo impatto, un esempio da seguire, sembrava indistruttibile.
Fu decorato con un’altra medagli di bronzo al valor militare: «Comandante del reparto arditi del reggimento, già duramente provato in precedenti combattimenti, in una critica situazione, alla testa dei propri uomini, contrattaccava il nemico che minacciava di aggiramento altri reparti, infliggendogli gravi perdite, inseguendolo e facendo numerosi prigionieri. Venuto a trovarsi isolato con pochi uomini a circa due chilometri avanti alle altre truppe, assalito da forze soverchianti, si difendeva strenuamente entro una casa, finché veniva circondato e sopraffatto.»
Ma nel bollettino di guerra del 30 giugno le autorità militari precisarono che, nonostante le ricerche sui luoghi dello scontro, il cadavere di Baruzzi non era stato trovato e che era possibile fosse ferito e fatto prigioniero.
Tale comunicato, forse emesso per dare una speranza e alleviare lo sconforto, si rivelò invece vero.
Infatti Aurelio era la seconda volta nella sua vita che veniva preso prigioniero e nella prima occasione era riuscito a fuggire dopo poche ore.
Questa volta gli austriaci erano ben decisi a non lasciarselo scappare, la sua fama era conosciuta anche da loro e lo trasferirono immediatamente prima a Lubiana e poi in un campo di prigionia in Austria.
Ma da Lubiana il 26 giugno ebbe la possibilità di inviare un messaggio alla famiglia: «Sono illeso. Saluti. Baruzzi».
La missiva giunse a Lugo il 7 luglio, la notizia rimbalzò immediatamente su tutti i quotidiani.
E mentre la stampa dava spazio al redivivo eroe italiano, nel campo di prigionia Baruzzi stava “prendendo le misure” ai suoi carcerieri e trovò ben presto il sistema di fuggire, riuscendoci.
Era lontano da casa e dai soldati italiani e bisognava raggiungerli, era disarmato e con una divisa italiana addosso ma era vivo e libero, così decise di attraversare le Alpi a piedi, verso la fine di luglio, comparendo alle sentinelle degli avamposti italiani.
Si presentò in ottima salute, armato e in compagnia di una pattuglia di fanti ungheresi che aveva incontrato nel viaggio e non si era fatto scappare l’opportunità di farli tutti prigionieri, come avesse fatto da solo e disarmato a farlo rimarrà un segreto dal capitano degli arditi.
Nel 1920 ci fu la crisi di Valona, fu una crisi militare che si svolse in Albania tra il Regno d’Italia, che occupava la baia di Valona assieme all’isola di Saseno dal 1914, e le forze nazionaliste albanesi.
Le ostilità scoppiarono in seguito alla divulgazione, da parte ellenica, dell’accordo Venizelos-Tittoni di Parigi, in base al quale sarebbe stato riconosciuto all’Italia un mandato della Società delle Nazioni sull’Albania in cambio di vantaggi territoriali greci nell’Epiro albanese.
Baruzzi c’era e grazie anche a lui il presidio italiano riuscì a mantenere Valona a fronte di quattro attacchi facendogli guadagnare una croce di guerra al valor militare:
«Comandante della riserva, manifestatosi un violento attacco nemico, riuniva prontamente i propri dipendenti e li scaglionava a rinforzo del tratto di linea già attaccato. Incitava tutti alla resistenza e alla calma, con l’esempio e con la parola; sebbene colpito da malore, continuava la sua opera attiva per tutta la durata del combattimento.»
Restò in servizio nell’esercito dopo la conclusione del conflitto, raggiungendo il grado di generale e descrisse in due libri gli eventi bellici a cui aveva preso parte.
Ma questa, è un’altra storia.
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