S:1 – Ep.28
Andrea Lostia è una persona qualunque.
Purtroppo non abbiamo immagini specifiche di Andrea ma vogliamo comunque raccontarvi la sua storia, la storia di una persona qualunque che però portò alla nascita della famosa “brigata Sassari”.
Gli archivi dell’Esercito ne documentano la costituzione il primo marzo del 1915 con due reggimenti, uno a Sinnai e l’altro a Tempio ma non dicono nulla sul perché e sul come lo Stato maggiore dell’esercito del regno d’Italia decise di creare questa unità, composta solo da sardi, che diventò leggenda nella Grande guerra.
Fu anche un importante laboratorio politico perché fu il deposito rivoluzionario della Sardegna del dopoguerra.
Nelle trincee tra sofferenza, paura e la furia dell’odore acre della morte, maturò infatti tra contadini e pastori in divisa, e i loro ufficiali, una coscienza nuova della propria identità regionale, anzi nazional regionale.
Andrea Lostia nasce a Orotelli nel 1894, figlio di Giovanni Battista e di Antonietta Marteddu.
Era un uomo molto energico e deciso, qualità diffuse tra i sardi, fu chiamato alle armi nel 1912, all’età di 18 anni, e destinato al reggimento di artiglieria Fortezza da Costa a Genova, dove si distinse fin da recluta quando riuscì a far sparare il gigantesco cannone da 420 millimetri, allora in fase di collaudo e per questo ottenne come riconoscimento una medaglia.
Ma Andrea era anche un uomo molto riservato e avaro di parole, anche queste, solitamente qualità genetiche sarde.
All’origine della Brigata Sassari c’è la storia poco conosciuta di un gruppo di artiglieri sardi che, nel 1914, si ribellò alla boria e agli abusi dei commilitoni continentali, non sempre la storia è quella raccontata nei libri o registrata negli archivi.
A volte rimangono nell’ombra uomini e donne qualunque che, con le loro vite e le loro scelte, hanno determinato eventi che hanno poi lasciato un segno, questi protagonisti della storia, spesso senza nome e senza volto, sono destinati a essere inghiottiti dall’oblio.
Ma ci sono rari casi in cui ricordi remoti o testimonianze apparentemente insignificanti possono, dopo moltissimi anni, riaffiorare dalle nebbie del tempo e ricomporsi, come nel caso di Andrea Lostia.
In quel 1914 cominciavano a soffiare i primi venti di guerra, il conflitto era imminente e nell’Esercito tutti i congedi erano stati sospesi.
Nei reparti si respirava un’aria pesante e la tensione era altissima, questo anche nel reggimento Fortezza da Costa di Genova.
Si aggiunga che i sardi, isolani semi isolati, non venivano ben visti dai “continentali”, erano passati solamente 67 anni da quel 29 novembre 1847, dove, con la “fusione perfetta” e la rinuncia dei sardi alla loro autonomia statuale, il Regno di Sardegna si fuse con gli Stati di terraferma posseduti dai Savoia, comprendenti il Principato di Piemonte, il Ducato di Savoia, la Contea di Nizza, gli ex feudi imperiali dell’Appennino Ligure e l’ex Repubblica di Genova con l’isola di Capraia.
Non tutti i sardi avevano dimenticato il loro Regno e non tutti i sardi condividevano la scelta dell’unione, 67 anni sono pochi per dimenticare le proprie origini e questo, i “continentali” lo sentivano, e i sardi a volte, lo pativano.
Succedeva spesso, come testimonianze di chi c’era confermano, che quando si trovavano in fila per il rancio o per lavarsi, i sardi venivamo ributtati indietro a gomitate perché i continentali si credevano superiori ed erano molto più numerosi di loro.
“Ma dal giorno che gli abbiamo dato quella batosta con Andrea, le cose sono cambiate e noi sardi passavamo avanti ai continentali nelle file», riporta Borianu Sanna di Bitti, ex commilitone di Andrea Lostia, parlando di ciò che probabilmente portò alla prima presa di coscienza della creazione della brigata Sassari parlando di quella tremenda rissa che poi finì condizionando la storia.
Andrea Lostia era diventato attendente del capitano e una sera, tornando in caserma, trovò i suoi amici sardi silenziosi e avviliti.
Uno di loro gli disse: “i continentali si credono superiori e sono molto più numerosi di noi, non vedi Andrea che ci fanno filare come bestie, e non senti quel romano che a pugni serrati e a braccia alzate urla che per stendere lui ci vuole tutta la Sardegna”?
La risposta di Lostia risuonò come una frustata: “e voi cosa state aspettando a saltargli addosso con coraggio e con determinazione senza temerli, poi gli facciamo vedere che non ci vuole tutta la Sardegna per dargli una lezione e farli scappare!”».
Alle discriminazioni ricevute e alla tensione crescente pre bellica, quelle parole furono la scintilla che scatenò una rissa cruenta e furiosa nella quale un pugno di sardi diede una severa lezione a tutto il reggimento di artiglieria Fortezza da Costa, un sergente maggiore finì addirittura in ospedale per una coltellata in pancia.
Le autorità militari pensarono subito a una rivolta contro lo Stato, sospettando infiltrazioni angioine repubblicane tra i sardi e Andrea Lostia fu indicato come il capo di quella ribellione e fu arrestato, poi, fu trasferito a Piacenza in attesa del processo.
Andrea escogitò uno stratagemma per non far sapere ai familiari che si trovava in carcere, scriveva una lettera per la madre a Orotelli e poi la infilava in una busta più grande indirizzata a Genova al suo amico Daniele Mulas, il quale sfilava la prima busta e la spediva ai Lostia a Orotelli.
Ma due cugini di Andrea seppero per caso a Sarule, da un soldato in licenza, che Lostia era finito nei guai e non era più al reggimento così, lo zio agronomo e un suo cugino medico, partirono alla volta di Genova dove appresero ufficialmente che Andrea si trovava in carcere a Piacenza, in attesa di essere giudicato per ribellione contro le istituzioni.
A difesa sua, i Lostia, presentarono al comandante del reggimento le loro credenziali di appartenenti a una famiglia nobile e fedele alla casa reale, tanto che un loro zio, Giovanni Battista, nel 1808, era stato posto da re Vittorio Emanuele a capo della reale Governazione di Sassari e nominato anche comandante della Giurisprudenza.
Il colonnello, anche grazie alla testimonianza del capitano di cui Andrea Lostia era attendente, capì che non esisteva alcun complotto e non c’era stata una rivolta, ma solo una furiosa rissa tra sardi e continentali, il suo rapporto convinse anche il generale che dispose l’immediata scarcerazione dell’artigliere Lostia.
Il generale, del quale non si conosce il nome ma certamente le parole, rimase profondamente colpito da quella rissa e si chiedeva come fosse stato possibile che un gruppo esiguo di sardi avesse potuto sbaragliare un intero reggimento.
“Non è possibile, non è possibile” ripeteva incredulo, e quando se ne convinse convocò i suoi ufficiali e disse: “Se è vero, come è vero, che un gruppo di sardi riesce a sbaragliare un reggimento al completo, allora se riusciamo a formare una brigata di soli sardi potremmo vincere qualsiasi guerra”».
L’idea piacque allo Stato maggiore: erano nati i diavoli rossi, i Dimonios.
La Brigata “Sassari” si costituì il 1° marzo 1915 a Tempio Pausania con i Reggimenti di Fanteria 151° e 152° anch’essi di nuova formazione, fu un nucleo embrionale composto interamente di sardi, sia per la truppa che per sottoufficiali e ufficiali.
Durante la Grande Guerra la Brigata si batté con grande coraggio, tanto da essere più volte citata come “…speciale unità d’assalto…” e gli Austriaci imparano a temere questi soldati coriacei e testardi che contendevano il terreno palmo a palmo.
Nel luglio dello stesso anno attraversarono l’Isonzo e venne subito impegnata in combattimento, Bosco Cappuccio, Bosco Lancia, Bosco Triangolare furono tappe eroiche per il conseguimento del primo titolo d’onore che la Brigata conquistò espugnando le trincee delle “Frasche” e dei “Razzi“, meritando la citazione, prima tra tutte le unità dell’Esercito, sul bollettino del Comando Supremo.
Spostata dal Carso sull’altipiano di Asiago, nel giugno 1916 riconquistò Monte Fior, Monte Castelgomberto e Casera Zebio e il 3 agosto i suoi reggimenti ricevettero la prima Medaglia d’Oro.
Nei tragici giorni di Caporetto i fanti della “Sassari” contrastarono le avanguardie nemiche fino al Piave combattendo con straordinaria coesione morale, disperato orgoglio e granitica compattezza organica.
Il battaglione “Musinu” fu l’ultimo dell’intero Esercito a passare il Piave, inquadrato e al passo, quasi irridendo il nemico che incalzava e gli ultimi a ripiegare, i “Sassarini” furono i primi nella riscossa.
Sull’altopiano dei “Sette Comuni“, nel gennaio 1918, la Brigata fu protagonista della battaglia dei “Tre Monti” che valse la seconda Medaglia d’Oro alle Bandiere dei reggimenti.
Le due medaglie costarono un caro prezzo alla brigata “Sassari”, oltre 15.000 sardi perirono durante la grande guerra, 2164 caduti e 12858 tra feriti, mutilati e dispersi.
Nell’ordinamento provvisorio del 1919 la Brigata “Sassari” venne mantenuta tra le Brigate permanenti come riconoscimento per lo straordinario valore dimostrato in guerra, ma nel marzo 1943, durante la seconda guerra mondiale, la “Sassari” rientrò nella penisola, per costituire massa di manovra a difesa della Capitale.
Dall’8 al 10 settembre 1943 prese parte alla difesa di Roma, combattendo a Porta San Paolo e proprio il 10 settembre, posta in salvo in maniera avventurosa le Bandiere di Guerra in un monastero presso Monte Mario, i reparti della Divisione “Sassari” si sciolsero, per venire poi ricostituiti nuovamente nel 1958, come ancora oggi esiste.
Nel Regio Esercito le ondate d’assalto sortivano all’ordine “Avanti Savoia” gridato dal comandante, tale invito era seguito dal grido di guerra vero e proprio, urlato dal reparto, una frase breve e secca, di solito il motto del Corpo.
Nella Brigata “Sassari”, specialmente nei momenti critici in cui era necessario fare appello all’orgoglio etnico, il grido “Avanti Savoia” veniva spesso sostituito con il grido “Avanti Sardegna“, cui faceva seguito il grido di guerra “Forza Paris“, che tradotto significa “Forza Insieme”.
Ma questa, è un’altra storia.
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