Margaretha Zelle – La danzatrice di Shiva

S:1 – Ep.19

Margaretha Geertruida Zelle è una persona qualunque.

Figlia di Adam Zelle che possedeva un negozio di cappelli ed era proprietario di un mulino e di una fattoria e di Antje van der Meulen, aveva tre fratelli.

Margaretha aveva una carnagione scura e i capelli e gli occhi neri, caratteristiche fisiche che la differenziavano notevolmente dai suoi connazionali olandesi.

Nel 1889 gli affari del padre incominciarono ad andar male, tanto da costringerlo a cedere la sua attività commerciale ed il dissesto economico provocò dissapori nella famiglia che portarono alla separazione dei coniugi e al trasferimento del padre ad Amsterdam, la madre morì l’anno dopo.

Nel 1895 Margaretha rispose all’inserzione matrimoniale di un ufficiale, il capitano Rudolph Mac Leod che viveva ad Amsterdam, in licenza di convalescenza dalle colonie d’Indonesia e l’11 luglio 1896, ottenuto anche il consenso paterno, Margaretha sposò il capitano Mac Leod.

Abitarono inizialmente ad Amsterdam, ebbero un figlio e poi si trasferirono a Giava dove il capitano riprese il servizio attivo.

L’anno dopo si spostarono vicino a Malang, dove il 2 maggio 1898 nacque una figlia ma presto la famiglia venne sconvolta dalla tragedia della morte del piccolo primogenito Norman, che morì avvelenato.

La causa non fu mai scoperta pienamente, pare una medicina somministrata dalla domestica indigena ai figli della coppia, moglie di un subalterno del neo promosso al grado di maggiore Mac Leod che gli aveva inflitto una punizione.

Rudolph, Margaretha e la piccola Non, si dislocarono nuovamente a Giava, dove il maggiore Mac Leod, raggiunta la maturazione della pensione, il 2 ottobre 1900 diede le dimissioni dall’esercito e cedendo forse alle richieste della moglie, riportò, agli inizi del 1902, la famiglia nei Paesi Bassi.

Sbarcati ad Amsterdam i due coniugi tornarono per breve tempo a vivere nella casa di Louise Mac Leod, sorella del maggiore, e poi per loro conto in un appartamento ma Margaretha fu lasciata dal marito, chiedendo la separazione e affidando la figlia al padre di lei.

Decisa a tentare l’avventura della grande città, nel marzo del 1903, Margaretha andò a Parigi, dove non conosceva nessuno: molto bella d’aspetto cercò di mantenersi facendo la modella presso un pittore e cercando scritture nei teatri, ma con risultati alquanto deludenti.

Forse giunse anche a prostituirsi per sopravvivere, nella vana attesa del successo.

Il fallimento dei suoi tentativi la convinse a tornare nei Paesi Bassi, ma l’anno seguente tornò nuovamente a Parigi e prese alloggio al Grand Hotel, divenendo l’amante del barone Henri de Marguérie.

Presentatasi dal signor Molier, proprietario di un’importante scuola di equitazione e di un circo, Margaretha, che in effetti aveva imparato a cavalcare a Giava, si offrì di lavorare e, poiché una bella amazzone può essere un’attrazione, fu accettata.

Ebbe successo e una sera si esibì durante una festa in casa del Molier in una danza giavanese, o qualcosa che sembrava somigliarle: Molier rimase entusiasta di lei.

La sua danza era, a suo dire, quella delle sacerdotesse del dio orientale Shiva, che mimavano un approccio amoroso verso la divinità, fino a spogliarsi, un velo dopo l’altro, del tutto, o quasi.

Trasferitasi in un più modesto alloggio, una pensione presso gli Champs-Élysées, sempre a spese del Marguérie, il suo vero esordio avvenne nel febbraio 1905 in casa della cantante Kiréevsky, che usava invitare i suoi ricchi amici e conoscenti a spettacoli di beneficenza.

Il successo fu tale che i giornali arrivarono a parlarne: lady Mac Leod, come ora si faceva chiamare, replicò il successo in altre esibizioni, ancora tenute in case private dove più facilmente poteva togliersi i veli del suo costume, e la sua fama di «danzatrice venuta dall’Oriente» incominciò a estendersi per tutta Parigi.

Notata da monsieur Guimet, industriale e collezionista di oggetti d’arte orientali, ricevette da questi la proposta di esibirsi in place de Jéna, era però necessario cambiare il suo nome, troppo borghese ed europeo: così Guimet scelse il nome, d’origine malese, di Mata Hari.

Mata Hari alternò le esibizioni tenute nelle case esclusive di aristocratici e finanzieri, agli spettacoli nei locali prestigiosi di Parigi, appariva vestita con sottili veli traslucidi dei quali si spogliava uno dopo l’altro durante l’esibizione, finché non le rimanevano solo i gioielli orientali che portava e, sebbene il suo numero consistesse nello spogliarsi lentamente, lei non mostrò mai il suo piccolo seno nudo, perché la imbarazzava.

Mentre l’esercito tedesco invadeva il Belgio per svolgere quell’operazione a tenaglia che, con l’accerchiamento delle forze armate francesi, avrebbe dovuto concludere rapidamente la guerra, Mata Hari era già partita per la Svizzera, da dove contava di rientrare in Francia; tuttavia, mentre i suoi bagagli proseguirono il viaggio verso la terra francese, lei venne trattenuta alla frontiera e rimandata a Berlino.

Il 14 agosto 1914, il funzionario del consolato olandese rilasciò a Margaretha Geertuida Zelle, «alta un metro e settantacinque», di capelli, in quell’occasione, biondi, il visto per raggiungere Amsterdam.

Divenuta prima l’amante del banchiere van der Schalk e poi, dopo il trasferimento a L’Aia, del barone Eduard Willem van der Capellen, il 24 dicembre 1915 Mata Hari tornò a Parigi, per recuperare il suo bagaglio e tentare, nuovamente invano, di ottenere una scrittura da Djagilev, ebbe appena il tempo di divenire amante del maggiore belga Fernand Beaufort che, alla scadenza del permesso di soggiorno, il 4 gennaio 1916, dovette fare ritorno nei Paesi Bassi.

Furono frequenti le visite nella sua casa de L’Aia del console tedesco Alfred von Kremer, che proprio in questo periodo l’avrebbe assoldata come spia al servizio della Germania per avere informazioni sull’aeroporto di Vittel, in Francia, dove ella poteva recarsi col pretesto di far visita al suo ennesimo amante, il capitano russo Vadim Masslov, ricoverato nell’ospedale di quella città.

Ma la ballerina in quel periodo era già sorvegliata dal controspionaggio inglese e francese quando, il 24 maggio 1916, partì per la Spagna e da qui, il 14 giugno, per Parigi dove tramite un ex-amante, il tenente di cavalleria Jean Hallaure, che era anche, senza che lei lo sapesse, un agente francese, il 10 agosto si mise in contatto con il capitano Georges Ladoux, capo di una sezione di controspionaggio francese, per ottenere il permesso di recarsi a Vittel.

Ladoux le concesse il visto e le propose di entrare al servizio della Francia, proposta che Mata Hari accettò, chiedendo l’enorme cifra di un milione di franchi, giustificata dalle conoscenze importanti che ella vantava e che sarebbero potute tornare utili alla causa francese.

Qui, oltre a inviare informazioni sulla sua missione agli agenti tedeschi nei Paesi Bassi e in Germania, ricevette anche istruzioni dal capitano Ladoux di tornare nei Paesi Bassi via Spagna, ma durante una sosta della nave a Falmouth, nel Regno Unito, fu arrestata perché scambiata con una ballerina di flamenco, Clara Benedix, sospetta spia tedesca.

Interrogata a Londra e chiarito l’equivoco, dopo accordi presi con Ladoux, Scotland Yard la respinse in Spagna, sbarcò l’11 dicembre 1916.

A Madrid continuò il doppio gioco, mantenendosi in contatto sia con l’addetto militare all’ambasciata tedesca, Arnold von Kalle, sia con quello dell’ambasciata francese, il colonnello Joseph Denvignes, al quale riferì di manovre dei sottomarini tedeschi al largo delle coste del Marocco.

Il von Kalle comprese che Mata Hari stava facendo il doppio gioco e telegrafò a Berlino che «l’agente H21» chiedeva denaro ed era in attesa di istruzioni: la risposta fu che l’agente H21 doveva rientrare in Francia per continuare le sue missioni e ricevervi 15 000 franchi.

Il 2 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell’albergo Élysée Palace dal capo della polizia Priolet con cinque ispettori e rinchiusa nella prigione di Saint-Lazare, von Kalle l’aveva venduta ai francesi.

Di fronte al titolare dell’inchiesta, Mata Hari adottò inizialmente la tattica di negare ogni cosa, dichiarandosi totalmente estranea a ogni vicenda di spionaggio, ma poi, con il passare dei giorni, Mata Hari non riuscì a giustificare agli occhi della Corte le somme che il van der Capelen, suo amante, le inviava dai Paesi Bassi, né le somme ricevute a Madrid dal von Kalle, che tentò di giustificare come semplici regali.

Dovette anche rivelare un particolare inedito, ossia l’offerta ricevuta in Spagna di lasciarsi ingaggiare come agente dello spionaggio russo in Austria.

Riferì anche della proposta fattale dal capitano Ladoux di lavorare per la Francia, una proposta che cercò di sfruttare a suo vantaggio, come dimostrazione della propria lealtà nei confronti della sua amata Francia.

L’accusa non aveva, fino a questo momento, alcuna prova concreta contro Mata Hari, la quale poteva anzi vantare di essersi messa a disposizione dello spionaggio francese.

Il fatto è che il controspionaggio non aveva ancora messo a disposizione del capitano Bouchardon le trascrizioni dei messaggi tedeschi intercettati che la indicavano come l’agente tedesco H21.

Quando lo fece, due mesi dopo, Mata Hari dovette ammettere di essere stata ingaggiata dai tedeschi, di aver ricevuto inchiostro simpatico per comunicare le sue informazioni, ma di non averlo mai usato e di non avere trasmesso nulla ai tedeschi, malgrado i 20.000 franchi ricevuti dal console von Kramer che ella, sostenne, considerò solo un risarcimento per i disagi patiti durante la sua permanenza in Germania nei primi giorni di guerra.

I tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai considerata una spia.

Al contrario, il capitano Georges Ladoux negò di averle mai proposto di lavorare per i servizi francesi, avendola sempre considerata una spia tedesca.

Il processo, tenuto a porte chiuse, ebbe inizio il 24 luglio e dopo meno di un’ora venne emessa la sentenza secondo la quale l’imputata era colpevole di tutte le otto accuse mossele: «In nome del popolo francese, il Consiglio condanna all’unanimità la suddetta Zelle Marguerite Gertrude alla pena di morte».

Il 15 ottobre, ricambiato più volte il saluto con cortesi cenni del capo, fu blandamente legata al palo; rifiutata la benda, poté fissare di fronte a sé i dodici fanti ai quali era stato assegnato il compito di giustiziarla: uno di essi, secondo regola, aveva il fucile caricato a salve, ma gli altri no.

Morì per fucilazione portando con sé i suoi segreti.

Ma questa, è un’altra storia.

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