S:1 – Ep.22
Maria Plozner Mentil è una persona qualunque.
Maria nacque a Timau, una piccolissima frazione del comune di Paluzza in provincia di Udine, nel 1884 e il 9 gennaio 1906 sposò Giuseppe Mentil, anch’egli di Timau, dal quale ebbe quattro figli.
Durante il periodo di neutralità dell’Italia, l’Austria aveva potenziato il suo sistema difensivo attorno al passo di Monte Croce Carnico, a mt. 1360 d’altezza, occupando le cime del Pal Piccolo -mt. 1886- e Pal Grande -mt. 1809- a destra del passo e la Creta di Collinetta -mt. 2188-, che si erge alla sua sinistra; dalla quota 1829 della Creta di Collinetta, un robusto trincerone blindato ed in parte coperto, protetto da reticolati e cavernette con mitragliatrici e cannoncini da trincea, si collegava alla linea difensiva sul Pal Piccolo comprendente i 2 cocuzzoli a quota 1859 e 1866, per finire alla cima del Pal Grande.
Da parte italiana si era provveduto a rendere impraticabile la strada ed i sentieri di collegamento delle malghe con Timau, perché la zona, aspra e dirupata, non permetteva grossi lavori difensivi.
Ci troviamo in territorio friulano, precisamente nella regione storico-geografica della Carnia che tra l‘agosto 1915 e l‘ottobre 1917, quando l’Italia ruppe lo stato di neutralità schierandosi contro l’impero austroungarico e tedesco, era un territorio a ridosso del confine austriaco, militarmente bipartito nei sotto-settori But-Degano e Fella.
La zona era strategica sia dal punto di vista del Regio Esercito Italiano, come possibile via per conquistare la Carinzia subito al di là del passo di Monte Croce Carnico, sia da quello nemico, come porta principale per l’invasione italiana.
Vette contese da entrambi gli schieramenti, che si trovavano asserragliati in trincee scavate nella pietra, quasi completamente isolati dai più vicini centri abitati.
Negli anni della prima guerra mondiale, Maria Plozner con i figli piccoli e il marito Giuseppe al fronte sul Carso arruolato nel glorioso corpo degli alpini, rispose, come molte altre donne del luogo, all’appello fatto dell’esercito che richiedeva dei volontari per trasportare i rifornimenti dalle retrovie alla prima linea; diventò così una portatrice, o come le chiamavano gli stessi alpini impegnati sul fronte, un “angelo delle tricee”.
Il settore era comandato dal Gen. Clemente Lequio, con quartier generale a Tolmezzo. Nella zona Carnia erano dislocate 2 brigate di fanteria e 16 battaglioni alpini, l’Austria aveva in linea la 92° divisione comandata dal Gen. Rohr. La densità delle truppe era di circa un uomo ogni 1,5 metri di fronte.
Un esercito di così grandi dimensioni necessitava di rifornimenti continui: vettovaglie, munizioni, attrezzatura, medicine e in zone così impervie, un approvvigionamento giornaliero tramite automezzi era praticamente impossibile.
Più che in altri settori del fronte, in Carnia le difficoltà iniziali furono immediatamente palesi per l’esercito italiano. La deposizione fatta dal deputato Michele Gortani nell’inchiesta di Caporetto permette di scoprire alcuni particolari sorprendenti e grotteschi:
“mancava dunque, dicevo, tutto quello che occorre per la guerra in trincea […]. Alle bombe a mano in Carnia supplì per qualche tempo il generale Lequio con un impianto improvvisato […]: aveva acquistato un notevolissimo stock di coppelle mestolo per cucina, le faceva congiungere, praticava un foro nel centro di una di esse e vi applicava un cilindretto di latta […] per l’esplosivo.”
Ciononostante, gli Alpini e i Feldjäger impegnati nell’alta Val But dettero vita a dei durissimi scontri nei pressi dello strategico Passo di Monte Croce Carnico. I primi si impossessarono del Pal Piccolo e del Pal Grande mentre i secondi occuparono il Freikofel.
I comandi però erano intenzionati a creare una linea di controllo sicura e quindi entrambi gli eserciti avevano ricevuto l’ordine di scalzare i rispettivi avversari da queste cime.
Nel giugno e nel luglio del 1915 Alpini e Feldjager si fronteggiarono furiosamente senza però ottenere risultati: tutte le vette furono occupate solo parzialmente e le prime linee si trovavano a pochi metri l’una dall’altra.
Così, già nelle prime settimane i soldati ebbero a che fare con una guerra di posizione logorante che solo l’inverno riuscì a fermare momentaneamente.
Le salmerie dei battaglioni non bastavano e d’inverno non erano impiegabili, le uniche vie utilizzabili per raggiungerli erano sentieri e mulattiere percorribili esclusivamente a piedi e ciò prevedeva il trasporto di materiali a spalla, da fondo valle, dove erano ubicati magazzini e depositi militari, fino in cima alle Alpi Carniche, per permettere alle forniture di raggiungere le prime linee.
Per tali trasporti diventava sconveniente impiegare i soldati già schierati sul fronte: ciò avrebbe tolto forza ed efficacia all’esercito belligerante.
La forza media presente in questi territori si aggirava intorno ai 10-12 mila uomini.
Essi dovevano essere vettovagliati ogni giorno, riforniti di munizioni, medicinali e attrezzi vari.
I magazzini ed i depositi militari erano dislocati in fondo valle e non c’erano rotabili che consentissero il transito di automezzi né di carri trainati da animali.
L’unico sistema per raggiungere la prima linea del fronte, in alta montagna, era il trasporto a spalla seguendo i sentieri o le mulattiere, sia in estate che in inverno.
Ma dato che per effettuare questi rifornimenti non si potevano sottrarre militari alla prima linea senza danneggiare l’efficienza operativa, il Comando Logistico della Zona e quello del Genio furono costretti a chiedere aiuto alla popolazione civile, ma gli uomini validi erano tutti alle armi e nelle case erano rimasti solo gli anziani, i bambini e le donne.
E le donne di Paluzza e Timau, avvertendo la gravità di quella situazione, non esitarono ad aderire al pressante invito che con toni drammatici veniva loro rivolto e si misero subito a disposizione dei Comandi Militari per trasportare a spalla quanto occorreva agli uomini della prima linea. Alcune di loro erano quindicenni.
Venne così costituito un Corpo di ausiliarie, composto da civili di tutte le età, non arruolate in senso militare, ma distinte da un’autodisciplina esemplare.
Non vestivano una divisa, il loro equipaggiamento era scarno, costituito da semplici, quanto fondamentali particolari: una gerla, una sorta di cesta in vimini intrecciata a forma di cono rovesciato e aperta in alto, con due cinghie di corda per poter essere trasportata che riempivano di tutto il necessario e che poteva arrivare a pesare oltre 30 kg, un braccialetto rosso recante il numero dell’unità militare d’assegnazione e un taccuino su cui venivano annotati i materiali trasportati e i viaggi giornalieri.
Con tali premesse, per 26 lunghi mesi, le portatrici carniche, questo il nome loro assegnato e con cui vengono ancora oggi ricordate, fecero la spola dai paesi a fondo valle fino in cima ai monti, giorno dopo giorno, partendo all’alba e rientrando nel pomeriggio.
Giunte a destinazione con il cuore in gola, curve sotto il peso della gerla in una così disumana fatica, specie d’inverno quando per avanzare affondavano nella neve fino alle ginocchia, scaricavano il materiale, sostavano qualche minuto per riposare, per far sapere agli alpini di reclutamento locale le novità del paese e magari per riconsegnare loro la biancheria fresca di bucato ritirata, da lavare, nei viaggi precedenti.
L’indomani all’alba si ricominciava daccapo con nuova lena.
Un collegamento tra depositi e prime linee, tra il mondo civile rimasto ai piedi delle montagne e il mondo della guerra, a decine di metri di dislivello.
Ma non mancavano certamente i rischi anche per loro, i “cecchini” austriaci non facevano differenza e sparavano su tutto quanto si muoveva, indistintamente e, come detto, in alcuni tratti le trincee erano estremamente vicine tra loro, aumentando la precisione del fuoco dei cecchini.
Fu così che il 15 febbraio 1916, una di esse, Maria Plozner Mentil, mentre si stava riposando assieme all’amica Rosalia Primus, venne colpita da uno di loro; seppur trasportata immediatamente all’ospedale di Paluzza, spirò il giorno dopo.
Non rimase altro che avvisare il marito Giuseppe, Alpino in linea chiamato d’urgenza per dargli la triste notizia e lasciare quattro piccoli orfani di madre.
Come succedeva spesso per mariti e padri, e molto più raramente per le madri, di Maria rimase solo la Medaglia d’oro al valor militare e, come purtroppo usava in quegli anni, la medaglia arrivò solamente nel 1997 quando l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro le conferì con “Motu Proprio” come rappresentante di tutte le Portatrici, la medaglia, 81 anni dopo la scomparsa sul fronte di Maria:
«Madre di quattro figli in tenera età e sposa di combattente sul fronte carsico, non esitava ad aderire, con encomiabile spirito patriottico, alla drammatica richiesta rivolta alla popolazione civile per assicurare i rifornimenti ai combattenti in prima linea. Conscia degli immanenti e gravi pericoli del fuoco nemico, Maria PLOZNER MENTIL svolgeva il suo servizio con ferma determinazione e grande spirito di sacrificio ponendosi subito quale sicuro punto di riferimento ed esempio per tutte le “portatrici carniche”, incoraggiate e sostenute dal suo eroico comportamento. Curva sotto il peso della “gerla”, veniva colpita mortalmente da un cecchino austriaco il 15 febbraio 1916, a quota 1619 di Casera Malpasso, nel settore ALTO BUT ed immolava la sua vita per la Patria. Ideale rappresentante delle “portatrici carniche”, tutte esempio di abnegazione, di forza morale, di eroismo, testimoni umili e silenziose di amore di Patria. Il popolo italiano Le ricorda con profonda ammirata riconoscenza.»
Alla sua memoria venne dedicata nel 1955 una caserma nel comune di Paluzza (unica caserma dell’Esercito Italiano dedicata ad una donna). La caserma venne poi dismessa nel 2001 e ceduta al Comune che ne demolì una parte pericolante lato strada che portava al vicino confine austriaco.
Maria fù l’unica portatrice carnica abbattuta dal fuoco nemico ma non l’unica colpita, tre di loro rimasero ferite nei vari viaggi: Maria Muser Olivotto e Maria Silverio Matiz entrambe di Timau, lo stesso paese di Maria e Rosalia Primus da Cleulis.
L’ultima portatrice carnica vivente è stata Gallizia Angela Rovedo fu Silvestro, nata a Bevorchians (Moggio Udinese) il 13 settembre 1903, operò sui monti della Vall’Aupa, fra il monte Cullar e la Crete dal Cronz ed è morta a Bergamo il 23 novembre 2005 all’età di 102 anni.
Ma questa, è un’altra storia.
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