Bèla Kiss – Il mostro di Cinkota

S:1 – Ep.24

Bèla Kiss è una persona qualunque.

Dopo il parigino Landru, la serie di episodi sui serial killer si sposta ad est della Francia ed approda in Ungheria, 100 kilometri a sud di Budapest.

Béla Kiss nacque nel 1877 a Izsák, nella grande pianura meridionale dell’Ungheria.

Kiss non andò mai a scuola ma imparò comunque a leggere da solo e si dimostrò sempre un lettore vorace.

Da giovane fece vari mestieri, tra cui la lettura della mano, studiò l’astrologia e l’occulto da autodidatta.

Nel 1890 svolse il servizio di leva obbligatoria ovviamente nell’esercito Austroungarico e nella primavera del 1900, all’età di 23 anni, si trasferì a Cinkota, appena fuori Budapest; al centro dell’Ungheria, la sua casa si trovava in via Kossuth, numero 9; successivamente traslocò al numero civico 17 di via Rákóczi.

Attorno al febbraio del 1912 si sposò con Mária, una donna di quindici anni più giovane di lui che aveva conosciuto da poco.

In quegli anni usava molto conoscere donne “da marito” tramite annunci vari come faceva anche il parigino Landru, e ad uno di quegli annunci di Kiss rispose proprio Mària, nello stesso periodo Kiss divenne amico del capo della polizia locale, il detective Kártoly Nagy; Kiss era conosciuto dagli abitanti del posto per la sua gentilezza.

Usciva spesso per motivi ignoti e trascorreva molte giornate a Budapest; tornava alle prime ore del mattino ma lavorava in maniera costante come lattoniere, un mestiere che gli permetteva di guadagnare bene.

Nel dicembre del 1912, dieci mesi dopo essersi sposato con Mària, Kiss scoprì che la moglie lo tradiva con un certo Pál Bihari, ne conseguì un litigio e il giorno dopo, Kiss, diffuse la notizia che la moglie era scappata con l’amante, e di fatti Mària e Pàl non si videro più a Cinkota.

In quegli anni, successivamente a quell’evento, iniziarono nella zona attorno a Budapest una serie di scomparse di donne, tutte giovani e in cerca di marito, ma non sempre se ne segnalava la scomparsa, a volte scappavano per amore o perché rimaste in cinta e l’onta della famiglia non si lavava facilmente, meglio una figlia scomparsa che in dolce attesa e magari senza marito.

Questa serie più numerosa di sparizioni durò fino almeno al novembre del 1914 e solamente quando furono denunciate dalle loro famiglie la scomparsa di Julianna Paschak e Erzsébet Komáromi la polizia di Budapest iniziò le ricerche.

Intanto scoppiò la prima guerra mondiale e Kiss, austroungarico, nel novembre del 1914 fu chiamato alle armi.

La partenza per la guerra lo aiutò a dileguarsi dalla sua città, Cinkota, lasciando a casa solamente la signora Jakubec.

Nel 1912, due anni prima dell’inizio della grande guerra e della obbligata partenza al fronte, Kiss assunse una governante, la Jakubec per l’appunto, che non si preoccupò mai delle voci delle scomparse di quel periodo.

Certo, il giorno dopo ogni sparizione nel giardino della casa di Bèla Kiss comparivano dei bidoni di metallo, tanto che un giorno l’amico detective Nagy, insospettito da ciò, chiese a Kiss cosa contenessero, la guerra era alle porte e non si poteva più rimandarla, egli rispose che “si era fatto una scorta di benzina, nel caso in cui la guerra fosse iniziata”.

Il poliziotto e la gente del posto si erano fatti l’idea che Kiss con quei fusti contrabbandasse liquore ma dopo che ammise ciò, tutti gli credettero, non era certo l’unico preoccupato in quel periodo pre bellico di far scorte di materiali primari.

Nel luglio del 1916, mentre Kiss era al fronte non si sa dove, il proprietario della sua ex-casa, giunto sul luogo per ristrutturare l’appartamento, notò alcuni bidoni di metallo nel giardino dai quali usciva un forte tanfo di putrefazione; avvisò la polizia che accorse sul luogo insieme ad un medico legale.

La scoperta fu agghiacciante, dentro ai fusti c’erano i cadaveri svestiti di alcune donne con segni di strangolamento sul collo, in un fusto fu ritrovato perfino la garrota utilizzata; in altri i cadaveri erano immersi nell’alcol.

Continuando a perlustrare la casa e le sue pertinenze, la polizia scoprì che in cantina c’erano sette barili, che contenevano una salma ciascuno: tra di esse c’erano quelle della moglie Mária Kiss e dell’amante Pál Bihari.

Si scoprì che Bèla Kiss, durante un litigio con la moglie quando scoprì del tradimento, la colpì con un bastone in testa e la strangolò con una garrota, un cavo di metallo pieghevole, la soffocò così forte da reciderle la gola e successivamente uccise anche Bihari per poi diffondere la notizia che i due amanti fossero scappati assieme.

Nella legnaia c’erano nascosti altri due morti; nel pollaio ce n’era un altro ancora, ma non finirono velocemente le macabre scoperte, in una stanza della casa, che Kiss aveva chiuso a chiave, c’erano le lettere, i gioielli e i vestiti appartenenti alle donne uccise; nella stessa stanza si trovarono anche dei libri che parlavano di veleni o strangolamenti.

Dietro alla scrivania, nascosto assieme alle lettere, c’era un album fotografico con le foto di circa 100 donne.

Il killer aveva proibito alla governante Jakubec di entrarci, ma le consegnò comunque la chiave, dalle lettere la polizia stabilì che aveva ricevuto 174 proposte di matrimonio e che ne aveva accettate 74.

Quindi Kiss intrattenne rapporti epistolari con almeno 74 donne.

Molti altri corpi vennero recuperati: era fortemente sospettato di almeno 30 omicidi ma, in luce dei ritrovamenti, la polizia ne verbalizzò solamente 24, tra cui ovviamente la moglie e l’amante, poi c’erano le due donne scomparse segnalate alla polizia a cui si aggiungevano Katalin Varga, la prima donna che si presentò da Kiss e che fu picchiata e strangolata la sera stessa, la signora Schmeidak, una vedova che si presentò da Kiss la settimana successiva e che due giorni dopo il killer stordì sbattendole la testa contro la parete e poi strangolò, e Margit Tóth, che si trasferì a Cinkota nel 1906 e si presentò da Kiss: lui la obbligò a scrivere una lettera da spedire alla madre, avrebbe dovuto fingere di essere partita per gli Stati Uniti d’America a seguito di un fallimento in amore, fu strangolata e fatta a pezzi anche lei e la lettera venne spedita poi per sviare i sospetti.

Il suo modus operandi era presso che sempre quello, caratteristica e firma dei serial killer: attirava le vittime del paese, tutte giovani donne, con dei finti annunci matrimoniali in casa e, dopo averle stordite con delle forti percosse, le strangolava con una garrota.

Per non farsi riconoscere usava un nome fittizio, “Herr Hoffmann” o “Elemér”.

Probabilmente uccideva le donne perché non era mai riuscito a perdonare Mària, nemmeno dopo averla uccisa, e a seguito dell’incidente con la moglie nutriva un profondo risentimento verso di loro, risentimento che forse si alleviava di poco dopo un omicidio ma che poi tornava tormentandolo nuovamente.

La governante apprese delle azioni di Kiss dalla polizia ed era presente durante il ritrovamento dei corpi sparsi per casa all’interno dei fusti maleodoranti, non era mai entrata nella stanza a lei proibita nonostante ne possedesse la chiave, era terrorizzata, fu sottoposta comunque ad un interrogatorio nel quale si dichiarò innocente, venendo infine scagionata dagli omicidi.

La polizia accertò, con il procedere delle indagini, che Kiss non aveva un complice.

La notizia del mostro di Cinkota fece velocemente il giro dell’Ungheria e le forze dell’ordine si misero in contatto con l’Esercito Austroungarico per fermare l’assassino seriale.

Il problema principale era che i nomi “Béla” e “Kiss” erano molto diffusi in quegli anni tra gli ungheresi; gli agenti si sarebbero trovati di fronte a migliaia di presunti serial killer che in quel momento erano impegnati nelle battaglie in luoghi sperduti per combattere la prima guerra mondiale.

Inizialmente, nel maggio del 1916, prima della macabra scoperta, circolava la notizia che Kiss fosse morto in battaglia e il 4 ottobre dello stesso anno le autorità vennero informate che Kiss era invece morto per una grave forma di tifo l’anno precedente, ma la notizia venne rettificata e l’Esercito affermò in un telegramma che era certamente morto in un ospedale da campo nella Serbia orientale dopo essere stato ferito in un combattimento.

La polizia voleva essere sicura che il serial killer fosse veramente defunto e si presentò per l’identificazione, tuttavia quando il cadavere venne scoperto, la polizia scoprì che non era quello di Kiss, o meglio, i documenti erano i suoi ma il killer, dopo aver appreso in giro la notizia che era stato scoperto, aveva scambiato i propri documenti d’identità con quelli di un altro soldato appena morto.

Quest’altro uomo aveva 20 anni ed era di carnagione chiara, mentre Kiss ne aveva circa 40 ed era di carnagione scura, il killer era ancora probabilmente vivo… e libero ancora di uccidere.

Da quel momento in poi gli agenti raccolsero alcune prove di avvistamento, ma non tutte potevano essere verificate: una di esse diceva che era stato imprigionato con l’accusa di furto con scasso in Romania; un’altra diceva che era morto di febbre gialla in Turchia, una segnalazione riferì che era stato avvistato mentre passeggiava su un ponte a Budapest nella primavera del 1919, quando la guerra, nel frattempo, era terminata.

All’inizio del 1920, un soldato disertore francese riferì alla polizia della Sûreté che aveva ascoltato un commilitone parlare “di come fosse bravo a strangolare le donne con una garrota”; questo commilitone si faceva proprio chiamare “Herr Hoffmann”, come uno dei suoi pseudonimi utilizzato da Kiss nei suoi annunci matrimoniali, ma quando la polizia ungherese apprese la notizia e cercò di raggiungerlo, il killer era fuggito nuovamente.

Dodici anni dopo, nel 1932, un poliziotto chiamato Henry “Camera Eye” Oswald riconobbe Kiss mentre usciva dalla metropolitana di New York a City Square, Kiss si accorse di essere spiato e si dileguò subito tra la folla, era scappato per la terza volta.

Oswald ritenne che egli vivesse da qualche parte nella city.

Nel 1936 la polizia venne avvisata che Kiss lavorava come portiere, custode e bidello in uno stabile; quando i poliziotti giunsero sul luogo, non trovarono nessuno: scoprirono che il portiere se n’era andato proprio il giorno prima.

Da quel momento sparì definitivamente.

Non è escluso che possa avere continuato a uccidere dopo l’ennesima fuga ma…

questa, è un’altra storia.

Rimani aggiornato iscrivendoti al nostro canale Youtube e visitando il nostro podcast.

Henri Landru – Barbablù

S:1 – Ep.23

Henri Désiré Landru è una persona qualunque.

Con Henri Landru iniziamo una serie di 4 puntate dedicate ai serial killer più feroci del periodo della grande guerra, predatori spietati, portatori di divise dei vari eserciti o che comunque, in un qualche modo, ne hanno fatto parte, assassini seriali di donne e di uomini.

In questi episodi vi racconterò dell’ungherese Bèla Kiss – Il mostro di Cinkota, del russo Vasilij Komarov – Il lupo di Mosca e di Carl Großmann, Fritz Haarmann e Karl Denke i macellai tedeschi

Tre tedeschi, un russo, un ungherese e un francese, 6 persone qualunque che non potevano fermarsi dall’uccidere in maniera seriale per le più svariate motivazioni personali ma andiamo per ordine, il primo è un francese.

Henri Landru nasce a Parigi il 12 aprile 1869, data che anni dopo festeggerà in modo del tutto diverso, di certo il suo peggior compleanno.

Figlio di un autista e di una sarta, Henri cresce sano, mostrando intelligenza ma anche una certa timidezza.

I voti a scuola non sono eccellenti ma neppure pessimi, tanto da permettergli di superare i vari gradi delle scuole fino ad iscriversi alla facoltà di ingegneria meccanica.

Nel frattempo arriva la chiamata alle armi, periodo durante il quale Henri dimostra disciplina e applicazione ottenendo i gradi di sergente; ma non è quella la vita che Henri vuole fare e quando finalmente poté scegliere, lasciò l’esercito.

Nel 1898, tolti i panni del militare, ha un’idea innovativa, una bicicletta a motore di sua invenzione, ribattezzata modello “Landru” ma il progetto, mai realizzato, ottiene comunque l’appoggio finanziario di vari investitori, Landru, appena intascato i soldi, sparisce.

Non fu l’unico raggiro nella vita di Henri, sull’onda di soldi facili senza lavorare, escogita altre truffe successive, tra cui quella del rigattiere che però lo portano inevitabilmente in carcere, e proprio lì rinchiuso Henri medita quella che, secondo lui, lo porterà alla facile ricchezza senza fatica.

Si accorge che, leggendo le rubriche sui quotidiani dedicate ai cuori solitari, sono tante le donne, spesso vedove e benestanti, che anelano al matrimonio nella vita e per questo, grazie anche alla monotonia della vita da carcerato, inizia a pubblicare inserzioni sentimentali, proponendosi come signore di mezza età, colto e agiato, desideroso di convolare a giuste nozze.

La prima vittima a cadere nella sua fitta ragnatela è una giovane ricca vedova di Lille alla quale Henri, appena uscito dal carcere, riesce a estorcere la ragguardevole cifra di 15000 franchi.

La Francia venne impegnata nel frattempo nella prima guerra mondiale, 1.350.000 vittime fra i soli militari francesi erano una vera e propria fucina di vedove, molte giovani e con ancora una vita davanti desiderose di compagnia, quelle benestanti erano quelle che a Henri, ovviamente, piacevano di più.

Ma cosa farci poi con le vedove, soprattutto se avevano anche figli, una volta che gli aveva estorto il denaro?

Purtroppo era semplice, perché Henri diventò in fretta un omicida seriale.

Grazie alla sua eloquenza, riusciva a far firmare alle sue vittime una procura che gli permetteva di far man bassa dei loro conti bancari, ottenuto questo aspettava il momento giusto e le strangolava, faceva poi sparire i corpi facendoli a pezzi e bruciandoli nel forno situato nella cucina della sua villa.

Questo era il suo modus operandi, vedova dopo vedova, fino a contarne almeno una decina.

Benché fosse alquanto isolata, la villa di Henri era comunque relativamente vicina ad alcune abitazioni, i cui residenti non potevano fare a meno di notare il frequente odore pestilenziale emanato dal fumo che usciva dal camino in periodi in cui il riscaldamento non era nemmeno necessario.

Insospettiti, avvisarono così più volte la polizia, invitandola a perquisire la villa, ma ad ogni modo Landru riuscì a restare a lungo nell’ombra, grazie alla cautela utilizzata nel compiere i suoi efferati crimini.

Egli, infatti, una volta che il cadavere si era incenerito e il fuoco spento, puliva accuratamente il forno dalla cenere che poi spargeva nei campi vicini, eliminando così tutte le tracce e le possibili prove che avrebbero potuto incriminarlo.

Petit, o Fremyet, Guillet erano solo alcune firme da lui utilizzate negli annunci, cambiava spesso testo per non essere identificato e collegato ad altri annunci, a volte era un vedovo padre di due figli, a volte un semplice vedovo dal cuore infranto o talvolta semplicemente un cuore solitario, comunque era purtroppo sempre Henri Landru.

Tutto funzionava a meraviglia fino a che non fu arrestato il 12 aprile 1919, giorno del suo cinquantesimo compleanno, con l’accusa di truffa ed appropriazione indebita in seguito alle denunce sporte da alcuni parenti delle vittime dopo la loro scomparsa.

Ben presto, dall’analisi di vari indizi concordanti, l’accusa si trasformò in quella dell’omicidio di almeno dieci donne e di un ragazzino che accompagnava una delle vittime, la prima per l’esattezza.

Quel giorno, il 12 aprile alle 9.00 in punto, suonò il campanello di casa Landru, aprendo la porta mentre Fernande Segret, forse la futura undicesima vittima, dormiva ancora nel suo letto, piombarono a casa sua alcuni poliziotti guidati dall’ispettore Jules Belin che lo prelevarono con la forza.

L’ispettore aveva raccolto le testimonianze di parenti e amici vari delle dieci vittime ufficiali di Henri, tra cui quella di Laure Bonhoure che aveva riconosciuto Henri all’uscita di un negozio sotto braccio ad una donna bionda che non conosceva, ma conosceva Henri perché aveva frequentato l’amica Celestine Buisson, di cui nessuno aveva più notizie da tempo.

Se la polizia durante la prima guerra mondiale aveva a che fare con problemi, diciamo così, più gravi di donne vedove che sparivano di tanto in tanto, nel 1919, a cannoni fermi, era ora di occuparsi anche di quelle scomparse, ritardatario lavoro portato avanti anche dall’ispettore Belin.

Il processo, che all’epoca ebbe un’enorme eco mediatico dato dal fatto che non c’era più bisogno di riportare i fatti della prima guerra mondiale, si aprì il 7 novembre 1921 davanti alla Corte d’assise di Seine-et-Oise nella sede di Versailles.

Henri Landru negò fin dall’inizio di essere l’autore dei crimini, ammettendo tuttavia di aver truffato le presunte vittime.

Manifestò a più riprese un atteggiamento spesso provocatorio nei confronti della corte, arrivando perfino ad esclamare, più e più volte: “Mostratemi i cadaveri!”.

La cucina a legna nella quale aveva bruciato i corpi fu trasportata nell’aula del tribunale, mentre una meticolosa perquisizione del giardino della casa di Gambais rivelò frammenti di ossa umane e molti denti, ma anche resti di animali.

Sebbene le prove materiali fossero scarse, teniamo presente che la scienza forense non aveva l’esperienza dei giorni nostri, la giuria fu influenzata da un’agendina di Landru in cui erano meticolosamente registrate, di suo pugno, le spese del viaggio di andata di ogni vittima, mentre erano del tutto assenti le spese del viaggio di ritorno, di questo fatto egli non riuscì a dare alcuna spiegazione convincente.

Emersero così dei nomi, nel 1915 la prima vittima fu proprio Jeanne-Marie Cuchet, una giovane vedova di trentanove anni scomparsa assieme al figlio Andrè e, sempre nello stesso anno, la stessa sorte colpì Thèrese Laborde-Line, Marie-Angèlique Guillin e Berthe-Anne Collomb.

L’anno successivo, nel 1916, svanì nel nulla Andrèe-Anne Babelay a soli 19 anni e Cèlestine Buisson, l’amica dell’ultima segnalatrice, seguirono poi negli anni successivi Louise-Jòsephine Jaume, Anne-Marie Pascal e, nel gennaio 1919, Marie-Thèrèse Marchadier, vedova e proprietaria di una pensione proprio a Parigi.

Vincent de Moro-Giafferi, il suo avvocato, uno dei più famosi in Francia, lo difese strenuamente, nonostante le prove mancava la “regina”, e cioè i corpi, o almeno uno, delle vittime dichiarate, l’avvocato continuò asserendo sì le truffe, come già ammesse da Landru, ma non certo gli omicidi di cui Henri era accusato.

I giornali divulgano notizie e avevano pronto il nomignolo, Barbablù, come il protagonista della fiaba di Charles Perrault, l’uxoricida responsabile delle morti delle sue sei mogli, ma di fronte a una serie di testimonianze schiaccianti e a numerosissime prove circostanziali, né Henri e né il suo avvocato poterono evitarne la condanna a morte, pronunciata il 30 novembre 1921.

Landru ascoltò serafico la lettura del verdetto emesso dalla giuria, quasi non lo riguardasse, come se lui fosse lì per puro caso o per un palese errore giudiziario e trascorse i pochi mesi che lo separavano dalla ghigliottina sereno, in linea con lo stile che aveva sempre avuto fin dal primo giorno del processo.

Anatole Deibler, il più famoso boia della Francia di cui si poteva vantare, nella sua lunga carriera, ben 395 esecuzioni, durante la notte del 25 febbraio 1922, montò la ghigliottina nel piazzale della prigione di Saint Pierre e attese l’alba.

La richiesta di grazia, inviata ad Alexandre Millerand, all’epoca presidente della repubblica francese, fu rifiutata il 24 febbraio 1922, il giorno prima dell’arrivo di Deibler.

Al sorgere del primo sole Henri Ladru, uscito tranquillo dalla sua cella, venne accompagnato nel cortile della prigione di St. Pierre a Versailles, dove era stato allestito il patibolo e la ghigliottina e alle 6.05, dopo che le autorità del carcere ebbero concesso l’ultimo desiderio al condannato a morte e cioè quello di essere sbarbato, pare fosse un vezzo personale per, parole sue, piacere di più alle donne, lasciò cadere la lucida lama sul collo di Barbablù, decapitandolo.

La ghigliottina, quel tremendo attrezzo inventato proprio in Francia nel XVIII secolo e che giustiziò reali come il re Luigi XVI e Maria Antonietta d’Asburgo ma anche artisti come il poeta Chènier o il padre della chimica moderna Lavoisier questa volta, aveva definitivamente fermato un serial killer.

La sua testa mozzata e mummificata è conservata nel Museum of Death di Hollywood.

Ma questa, è un’altra storia.

Rimani aggiornato iscrivendoti al nostro canale Youtube e visitando il nostro podcast.

Instagram