Augusto Turati – La befana fascista

S:2 – Ep.31

Augusto Turati è una persona qualunque.

Nato a Parma il 25 agosto 1888 da famiglia con forti tradizioni anticlericali e garibaldine, si trasferì giovanissimo a Brescia, intraprendendo la carriera giornalistica quale redattore a La Provincia di Brescia, giornale di ispirazione liberal-democratica e nel contempo iniziò gli studi in legge, portati avanti in maniera discontinua.

Attivo interventista, prese parte alla prima guerra mondiale con il grado di capitano e venne decorato nel 1916 con una medaglia d’argento sulle alture di Santa Caterina e una medaglia di bronzo sull’altopiano dei sette comuni e, nel 1918, con una Croce al merito di guerra.

Al termine del conflitto, congedato dall’esercito nell’estate del 1919, riprese a lavorare per “La Provincia di Brescia” in qualità di caporedattore.

Nel 1920 aderì ai Fasci di combattimento e, l’anno successivo, al Partito Nazionale Fascista.

Nell’ambito dell’organizzazione del partito si dedicò all’attività sindacale e divenne poi segretario della federazione bresciana.

In seguito alla crisi politica determinata dal delitto Matteotti e allo scopo di fronteggiare il “rassismo” che ne era stato il principale responsabile, nel 1926 Mussolini incaricò Turati di sostituire Roberto Farinacci come segretario nazionale del PNF, affidandogli il difficile compito di rendere maggiormente disciplinato il partito, epurando gli elementi più estremisti.

Per chi non li avesse visti, nello speciale di 5 puntate del nostro podcast dedicate agli attentati al Presidente del Consiglio del 1925 e 1926, Benito Mussolini, Farinacci era uno dei principali sospettati all’organizzazione di, se non tutti, almeno dell’ultimo attentato, quello che portò al linciaggio del piccolo Anteo Zamboni prima che il Duce “spostasse” parecchie cariche e oscurasse Farinacci, sostituito alla segreteria del partito da, per l’appunto, Augusto Turati.

Turati svolse la sua opera moderatrice e moralizzatrice nel partito con estremo rigore e grande determinazione, non sempre riuscendo nell’intento, ma inimicandosi una folta schiera di gerarchi nazionali e locali, primi fra tutti Farinacci, ma anche Costanzo Ciano, De Vecchi, Giunta, Balbo (altro nome uscito nell’ultimo attentato) e Ricci, che dalle direttive di Turati erano stati fortemente colpiti negli interessi politici ed economici.

Chi temeva Turati erano appunto i vari gerarchi, preoccupati che il segretario del partito potesse rafforzarsi troppo nella posizione di vice-duce, così da succedere a Mussolini in caso di una sua prematura scomparsa, prematura scomparsa che, dopo aver subito 4 attentati in 11 mesi, non era da escludere così facilmente.

Ma Turati fu anche l’ideatore, allo scopo di dare visibilità sul territorio ai fasci femminili e all’opera nazionale del dopolavoro, della “Befana fascista”, ordinando alle Federazioni provinciali del Partito Nazionale Fascista di sollecitare commercianti, industriali e agricoltori a donazioni in occasione di tale festa, la cui gestione sarebbe stata curata dalle organizzazioni femminili e giovanili fasciste.

In verità, non fu una novità assoluta ma il recepimento e la pianificazione su scala nazionale di iniziative spontanee in precedenza assunte da molte sezioni del PNF, in Italia e all’estero, come, ad esempio, fu la “Befana fascista ante litteram” organizzata a Buenos Aires dalla sezione argentina dell’Associazione lavoratori fascisti all’estero, che il 6 gennaio 1927 vide una grande partecipazione di emigrati italiani, con la distribuzione di 1 500 doni.

Ma dove nasce “la befana”?

L’origine è forse connessa a un insieme di riti propiziatori pagani, risalenti al X-VI secolo a.C., in merito ai cicli stagionali legati all’agricoltura, ovvero relativi al raccolto dell’anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo.

La dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura attraverso Madre Natura, i Romani credevano che in queste dodici notti delle figure femminili volassero sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti, da cui il mito della figura “volante”.

Secondo alcuni, tale figura femminile fu dapprima identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, mentre secondo altri fu associata a una divinità minore chiamata Sàtia (dea della sazietà), oppure Abùndia (dea dell’abbondanza).

Già a partire dal IV secolo d.C. la Chiesa di Roma cominciò a ripudiare e in taluni casi a condannare esplicitamente tutti i riti e le credenze pagane, definendoli un frutto di influenze sataniche, queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni, che sfociarono a partire dal Basso Medioevo.

La scopa si pensa che sia una rappresentazione dei roghi in cui il manico rappresentava il palo in cui la condannata veniva legata e la saggina rappresentava la catasta di legna da ardere, ma la scopa volante, era anche antico simbolo da rappresentazione della purificazione delle case (e delle anime), in previsione della rinascita della stagione.

Condannata quindi dalla Chiesa, l’antica figura pagana femminile fu accettata gradualmente nel Cattolicesimo, come una sorta di dualismo tra il bene e il male e già nel periodo del teologo Epifanio di Salamina, la stessa ricorrenza dell’Epifania fu proposta alla data della dodicesima notte dopo il Natale, assorbendo così l’antica simbologia numerica pagana.

Sulle basi di queste tradizioni e della riluttanza alla sopportazione di una parte del cattolicesimo di Augusto e ricordandoci che discendeva da una famiglia anticlericale, Turati non approvava le leghe cattoliche pretendendo la rimozione dell’agronomo Antonio Bianchi – ideatore del “lodo di Soresina”- che metteva in discussione la dottrina sindacale fascista in materia di patti agrari, causando un notevole imbarazzo anche a Mussolini che, in quei mesi, governava con l’appoggio dei popolari, Turati iniziò la suo opera organizzativa della prima Befana ufficiale che divenne la Befana fascista.

Il 6 gennaio 1928 ebbe un successo superiore ad ogni aspettativa che ne decretò la riproposizione annuale, in un continuo crescendo di partecipazione e già nel 1930 i pacchi dono distribuiti superarono i 600 000, nel 1932 furono 1 243 351, ciò presupponeva una macchina organizzativa enorme e capillare, in grado di raccogliere, suddividere, confezionare e distribuire le donazioni.

Ma qualche anno prima, nell’ottobre del 1929, Farinacci diede inizio a una pesante campagna scandalistica contro Turati, forse per vendicarsi del posto “rubato”, basato sulle equivoche confidenze fattegli dalla maîtresse Paola Marcellino, che gestiva la lussuosa casa d’appuntamenti della quale erano entrambi clienti, nei primi mesi del 1930 Turati inviò le proprie dimissioni a Mussolini, che le respinse.

Le voci che Farinacci diffuse erano legate ai gusti sessuali di Turati, secondo ciò che venne diffuso un omosessuale, situazione che di certo non piaceva, vero o falso che fosse, al Partito Fascista Nazionale e, dopo un intero anno di campagna scandalistica, Turati rassegnò nuovamente le dimissioni, questa volta accettate, tornando così al giornalismo, prima come inviato del Corriere della Sera e poi come direttore de La Stampa.

L’abbandono del potere lo espose ancor più alle azioni degli avversari, che non si placarono e, anzi, vennero rafforzate dagli ex collaboratori come Achille Starace, uno dei quattro vicesegretari del PNF cui Turati non aveva mai risparmiato critiche per la sua pochezza, che divenne un suo implacabile persecutore.

Starace e Farinacci continuarono il loro operato denigratorio e ottennero risultati, Turati fu radiato dal partito e, nel 1933, venne confinato a Rodi, poi, dopo un breve soggiorno in Etiopia, rientrò in patria nel 1938.

A partire dal 1934, dopo la caduta in disgrazia di Turati, la “Befana fascista” mutò la denominazione in “Befana del duce” (o “Natale del duce” per le zone in cui era tradizione distribuire i doni ai bambini in tale data), allo scopo di utilizzare la ricorrenza per avallare il culto della personalità di Benito Mussolini, avviata dal nuovo segretario del PNF, Achille Starace.

Nonostante la strenua difesa in suo favore esercitata da Giovanni Agnelli (nonno e omonimo del più contemporaneo patron della Fiat) e Aldo Borelli, un giornalista e direttore molto affermato, fatte direttamente su Mussolini, Turati fu destituito dalla direzione de La Stampa, arrestato e rinchiuso nel manicomio di sant’Agnese a Roma, per poi essere trasferito in una casa di cura a Ramiola, in provincia di Parma.

Per chi non lo sapesse e per quanto fortunatamente queste cose siano inimmaginabili ai giorni nostri, il fascismo cercò sempre di reprimere le manifestazioni più eclatanti di omosessualità, e per poter mostrare che gli italiani fossero, in realtà, immuni da questo “vizio immondo” e antipatriottico, la patologizzazione dell’omosessualità, già ben inserita nella scienza psichiatrica nazionale in quegli anni, serviva anche a questo scopo al regime.

Prevenire o punire, a seconda dei casi, la pederastia, trattata più o meno come una vera e propria deficienza o “pazzia morale”, veniva fatta anche attraverso l’internamento in manicomio, era pratica molto usata non solo in Italia per la verità, ma questa sorte, nel Bel Paese, toccò anche Augusto Turati.

Quando ne uscì, abbandonò l’attività politica e si dedicò alla professione di consulente legale.

Nonostante si fosse manifestato contrario all’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale e al costituirsi della Repubblica Sociale Italiana, e domandiamoci il perché, nel dopoguerra venne processato e condannato per il suo trascorso nel Partito Nazionale Fascista di cui fu proprio il segretario, fu poi amnistiato nel 1946.

Augusto Turai morì a Roma il 27 agosto 1955, 9 anni dopo essere uscito dal carcere per essere stato un fascista.

La befana continuò ad esistere anche durante gli anni della seconda guerra mondiale, riprendendo la denominazione di “Befana fascista” dopo l’instaurazione della Repubblica Sociale Italiana.

Ma questa, è un’altra storia.

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